giovedì 1 settembre 2011

Alban Berg – Estratti dalla Lettura del 1929 sul Wozzeck

Solo il genio può comprendere il genio, direbbe Schumann. Dopo aver pubblicato una illuminante analisi effettuata da Alban Berg sul Quartetto in re minore di Schoenberg, leggiamo stavolta Berg che parla di Berg. Si tratta di un ampio estratto della Lettura realizzata dal compositore su uno dei suoi (tanti) capolavori: il Wozzeck. Si noti l'insistenza di Berg sul considerare "atonalità" come un termine impreciso e provvisorio per poter definire un movimento così innovativo come la Seconda Scuola. Su questo argomento Berg ha scritto un articolo preciso, che pubblicheremo in seguito.

Quando, 15 anni addietro, ho deciso di comporre il Wozzeck, la situazione musicale era decisamente insolita. Noi della scuola viennese, sotto la guida di Arnold Schoenberg, avevamo appena dato inizio a quel movimento definito dagli altri in maniera errata “atonalità”.
Dapprima la composizione in quello stile era limitata a piccole forme come Lieder, brani pianistici e orchestrali o, se si voleva estendere l’opera (come il Pierrot Lunaire di Schoenberg), si utilizzavano in quel caso dei testi con una base drammatica. Il cosiddetto stile atonale mancava ancora di opere di ampio respiro.
E la ragione per questo stava nel fatto che, rinunciando alla tonalità, lo stile rinunciava ad una dei mezzi più forti e meglio provati di struttura formale costruttiva sia su piccola che su larga scala. Dopo aver deciso di scrivere un’opera, mi sono dovuto confrontare con un nuovo problema: come ottenere lo stesso senso di completezza, la stessa unitarietà musicale, rinunciando alle strutture tonali?

Testo e azione non avrebbero garantito questa unità; certamente non nel Woyzeck di Büchner che, come si sa, consiste di 23 scene frammentarie. E anche se fosse stato possibile trovare uno schema in 3 atti munito di unità drammatica, sistemando le scene in 3 gruppi di 5, distinguendo chiaramente tra esposizione, peripezia e catastrofe, questo, in sé, non avrebbe da solo garantito unità alla musica.
I metodi con cui ho costruito i tre atti dell’opera permettono all’intero brano di essere interpretato come una struttura tradizionale a tre parti (ABA), nel senso che il primo e il terzo atto hanno certe similarità strutturali (anche se, naturalmente, l’ultimo atto non è una ripresa musicale del primo). Di minore durata dell’Atto II, gli atti esterni contornano il molto più lungo e denso atto centrale, formando ciò che definirei una simmetria temporale. E mentre questo atto centrale manifesta una struttura totalmente integrata, gli atti esterni sono molto più liberi. Essi consistono di 5 brani musicali vagamente collegati, corrispondenti alle 5 scene altrettanto vagamente correlate. Le 5 scena dell’Atto I potrebbero essere descritte come pezzi di carattere; ognuno di essi presente una nuova figura nel dramma, in relazione alla figura principale del titolo (Wozzeck), quindi il Capitano, il suo amico Andres, la sua donna Marie, il Dottore e il Tamburmaggiore. Le 5 scena dell’Atto III consistono in 5 forme musicali la cui autosufficienza si basa su un altro principio dell’unità musicale, ossia l’unità di un tema che viene variato, di una singola nota, di un accordo, di un ritmo o di un costante modello di movimento.
Così, questi due atti esterni, in cui le scene si basano su un’idea unificatrice (i 5 pezzi di carattere del primo atto, i 5 principi unificanti del terzo), come due parti “A” di una forma tripartita, troviamo l’atto centrale più rigorosamente strutturato, in cui le 5 scene sono inseparabilmente collegate insieme come i movimenti di una sinfonia, in questo caso drammatica. Quindi abbiamo un primo movimento di forma-sonata seguito da una Fantasia e Fuga su 3 temi, un movimento lento (il Largo), una Scherzo, e finalmente il “Rondò marziale con introduzione”. L’atto centrale, come la sezione “B” della corrispondente forma a 3 parti, è così chiaramente identificato come la parte centrale, ed è essenzialmente differente dalle due sezioni “A”.
La coesione su piccola scala ha condotto all’uso di certe “vecchie forme”, su cui molto si è discusso. Nel tentativo di avere la varietà, e anche per il fatto che molte scene non dovevano essere completamente dürchkomponiert, come nei drammi di Wagner, è stato necessario per me trovare un’altra forma per queste 15 scene. D’altra parte, la natura autosufficiente di queste scene richiedeva un’autosufficienza nella musica, la quale a sua volta necessitava di assicurarsi un qualche tipo di coesione tra queste forme, dando ad ognuna di esse una struttura musicale chiusa.
Non c’era quindi nulla di arcaico, nessun desiderio “arcaico” di usare forme come variazioni, passacaglia e fuga, nessun atavico desiderio di tornare “indietro a…”. Avevo solo bisogno di trovare forme in cui utilizzare principi come quelli basati su “una nota”, “un ritmo” o “un accordo”.
La prima scena dell’opera utilizza la Suite anche perché il dialogo di questa scena è formato da argomenti semplicemente giustapposti. Era naturale cercare di abbinare questi argomenti con una successione di piccole unità musicali, come la Suite, fatta di forme più o meno stilizzate come Preludio, Pavana, Cadenza, Giga, Gavotta con i Doubles, anche se questo è avvenuto inconsciamente. Attraverso questo, la prima scena acquisisce ciò che io chiamo “coloratura storica”.  Il Preludio che torna alla fine della scena per moto retrogrado sta ad indicare che gli argomenti dell’apertura ritornano alla fine.
Il primo interludio orchestrale, che segue la scena come Postludio, è semplicemente uno sviluppo delle idee musicali principali dei diversi movimenti della Suite.
Il principio unificante della seconda scena è invece armonico: tre accordi che rappresentano lo scheletro armonico della scena [b.203-204].  Che un simile principio possa agire come elemento strutturale potrà essere accettato da chiunque pensi alla tonalità come mezzo per costruire forme, e consideri questi tre accordi con funzioni paragonabili a quelle di tonica, dominante e sottodominante. Non c’è bisogno di dire che questi 3 accordi sono presentati in modo molto diverso [rispetto all’armonia tonale].
Riguardo il trattamento della voce, si è detto che la mia non è un’opera basata sul belcanto. Ma non si è compreso che non tutta la vocalità può essere espressa dal ‘bel cantare’. Per di più, la mancanza di recitativi nell’opera è compensata dallo Sprechgesang o declamazione ritmica, già usata da Schoenberg nel Pierrot Lunaire. Questo mezzo, diversamente dal recitativo, offre il miglior mezzo per far comprendere le parole e arricchisce l’opera di un potente mezzo espressivo.
La mia seconda osservazione riguarda il modo in cui ho utilizzato i canti popolari nell’opera, e la necessità di stabilire una relazione tra musica d’arte e musica popolare, cosa che è del tutto evidente nella musica tonale. Non era facile rendere chiari questi diversi livelli nella cosiddetta armonia atonale. Penso di essere riuscito a rendere gli aspetti folklorici presenti nell’opera (comprese le armonie atonali) con semplicità. Così, ad esempio, queste sezioni privilegiano periodi simmetrici, armonie basate sulle terze (o, talvolta, quarte), e modelli melodici in cui un ruolo importante è giocato dalla scala per toni interi e dalla quarta giusta, opposti agli intervalli diminuiti e aumentati, che d’altra parte dominano la musica atonale della Scuola Viennese.
La cosiddetta ‘politonalità’ è un altro mezzo per creare una musica armonicamente primitiva. Troviamo un simile tocco popolare nella marcia militare (con il suo ‘falso basso’) e nella Ninna-nanna di Marie con le sue armonie per quarte. Si noti anche il collegamento con la seconda scena [Atto I, b.286]. Le seguenti tre terze sono la base degli accordi successivi, più avanti espressi in modo più motivico [b.287-293]. Più oltre, questi tre accordi diventano la base armonica di una melodia ampia [b.302-10] che, portando alla conclusione di questa seconda scena rapsodica, conduce all’interludio, seguito a sua volta dalla marcia militare e poi dalla Ninna-nanna [b.311-426].
Le quinte [b.425-26] sono caratteristiche della figura di Marie. Potrei dire che questo punto di riposo armonico raffigura l’attesa senza speranza, un’attesa che trova risoluzione solo nella sua morte. Questa idea è usata diverse volte, a mo’ di Leitmotiv.
E’ importante dire che io ho usato questi Leitmotiven, o meglio, motivi della reminiscenza, per stabilire connessioni e relazioni e, quindi, come ulteriore mezzo per raggiungere l’unità. Prendiamo come esempio gli accordi della natura della 2ª scena [b.201]. Qui essi rappresentano la natura inanimata che tanto terrorizza Wozzeck, nell’ultima scena del II Atto [b. 737-743] rappresentano i suoni naturali del russare dei soldati che dormono nella caserma. Nel I Atto sono suonati dall’orchestra; nel II sono in forma di coro muto che si collega con il suono di Wozzeck.
La Passacaglia o Ciaccona nella 4ª scena si basa su un tema di 12 note [b.486-7]. Non si tratta di variazioni meccaniche o in termini di musica assoluta, ma di qualcosa che ha la più forte connessione con l’azione drammatica. Anche la prima affermazione del tema di 12 note ha una base drammatica nel senso che esso appare insieme alle prime parole della scena, sorgendo dal discorso del Dottore, e quasi sommerso dall’eccitazione del rubato del recitativo violoncellistico [b. 488-495]. Quindi seguono 21 variazioni [b.496-642]. Si tratta di vere e proprie variazioni su un unico tema, con la stessa idea fissa del Dottore, un’idea fissa che trova la sua eco quando il tormentato Wozzeck si impossessa delle sue parole. [b.525 con levare-531]. Quando finalmente, nell’ultima variazione, il Dottore irrompe in un appello all’immortalità – la più elevata delle sue ossessioni – il tema del basso, nascosto per tuta la Passacaglia, ritorna ora con rinnovata chiarezza, con armonie da corale, e, in una sorta di stretto, chiude il movimento [b.638-655].. Appena finisce, le battute iniziali dell’Andante affettuoso introducono l’ultima scena del I atto.
Il Ii Atto si apre con una piccola introduzione orchestrale e ha, come forma musicale primaria, quella di un movimento di Sonata. Non è, forse, un caso che i tre personaggi che appaiono in questa scena, Marie, suo figlio e Wozzzeck, formino la base di tre gruppi tematici dell’esposizione – primo tema, secondo tema e coda – di una struttura classica di sonata. In realtà, il nucleo dello sviluppo drammatico di questa scena del gioiello, la duplice ripetizione di alcune situazioni e il confronto dei personaggi principali, porta da sé ad un’articolazione musicale tradizionale con esposizione, prima ripresa, sviluppo e infine una ricapitolazione. Il seguente diagramma renderà tutto chiaro:
Primo tema: b. 7-14
Transizione: b. 29-36
Secondo tema: b. 43-46
Coda: b.55-59 e fine esposizione.
La prima ripresa ripete ovviamente l’esposizione, anche se in forma variata e abbreviata. Lo sviluppo, parte della scena in cui le figure principali entrano in conflitto, conduce al climax della Sonata, un’affermazione del Leitmotiv che percorre l’intera opera [Atto I, b.136, Wir arme Leut (‘noi povera gente’), Atto II, b.115]. Le parole di Wozzeck ‘Eccoti altro denaro, Marie. La paga e qualcosa dal Capitano e dal Dottore’ sono cantate su un accordo tenuto di do maggiore. L’oggettività del denaro e di ciò che rappresenta non avrebbe potuta essere espressa più chiaramente. Questa triade maggiore di do porta alla ricapitolazione finale della Sonata, con l’interludio orchestrale che chiude la scena.
(…)
La scena 1 del III Atto si basa sul principio del Tema con Variazioni. Il rigore dell’architettura mostra che il tema bipartito (antecedente/conseguente) ha 7 battute, che ci sono 7 variazioni, e che il soggetto della doppia fuga (che riflette le due parti del tema) consiste di 7 note.
Il si basso che risuona insieme all’accordo finale della Fuga (l’abbiamo già visto come ultima nota dell’importante cadenza conclusiva del II Atto), ora diventa la forza unificatrice, il principio coesivo della successiva scene dell’omicidio, anche se, naturalmente, esso è trattato nei più diversi modi immaginabili – come pedale superiore, intermedio o superiore, raddoppiato in una o più ottave, e usato in ogni registro e timbro concepibili. Quando infine si compie l’omicidio di Marie, tutte le figurazioni musicali importanti associate a lei sono suonate rapidamente in questo pedale, come quando al momento della sua morte tutte le immagini più importanti della sua vita passano attraverso la sua mente distorta alla velocità della luce: la Ninna-nanna della prima scena [b.104], il Tamburmaggiore [stessa battuta], il motivo del lamento di Marie sulla sua sventura [b.105] e, infine, quando ella trae il suo ultimo respiro, il motivo per quinte dell’attesa senza speranza [b-106-7].
Il ritmo di b. 114-115 non è casuale, e ha anche una grande importanza tematica. Esso forma la base che garantisce l’unità alla scena seguente. Non si tratta di un ritmo imposto alla scena come un monotono ostinato, ma di qualcosa che viene trattato rendendo possibile una grande diversità, anche metrica, all’interno di una quasi-uniformità ritmica [b. 122-129], o nel passaggio in cui il ritmo diventa l’accompagnamento [b.145-152], o ancora in quei passaggi in cui il ritmo è aumentato, diminuito o spostato [b.152-159]. 



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