domenica 10 luglio 2011

Debussy, La Cathédrale engloutie: analisi di un piccolo gioiello


Claude Debussy – La Cathédrale engloutie
Prèludes per pianoforte, Libro I


M’è sempre parso che la musica dovrebbe essere soltanto silenzio, e il mistero del silenzio che cerca d’esprimersi. Prendete, ad esempio, una fontana. L’acqua muta riempie i condotti, vi si accumula, ne trabocca, e la perla che cade è sonora. Mi è sempre parso che la musica dovrebbe essere solo il traboccare di un grande silenzio.
Marguerite Yourcenar, Alexis o il trattato della lotta vana.

Debussy, l’acqua e il silenzio.

La portata rivoluzionaria dell’opus di Claude Debussy, pur continuamente analizzata dalla musicologia ufficiale, tende ad essere percepita dal pubblico medio in una forma abbastanza ridotta: al più, le sue musiche sono collocate in una nicchia dorata in cui il sapore evocativo e impressionistico delle armonie si mescola con momenti di eleganti ‘trovate’ musicali, partorite da uno spirito libero e anche un po’ bizzarro. Questa la copertina del libro dei luoghi comuni. Diciamo anzitutto che collocare Debussy nell’ambito dell’impressionismo è assai limitante. È lo stesso autore a ricordarcelo in maniera inequivocabile: «Io tento di fare altro, un certo modo di intendere la realtà, cosa che gli imbecilli definiscono impressionismo». Certo, ad ascoltare alcune pagine, verrebbe abbastanza naturale riferirsi ad un’immagine, a qualche evento esterno o interno che ‘impressiona’ il compositore, del quale egli poi sviluppa le diapositive musicali. Ma lo spirito di Debussy è quello di un uomo che non vuole essere sommerso dalle etichette; inoltre, poiché il termine è sinesteticamente preso a prestito dalla pittura, ci sarebbe anche il rischio di perdere la sostanza musicale alla ricerca di facili e banali corrispondenze fra immagine e gesto sonoro. Debussy realizza l’evocatività delle sue pagine sempre in maniera allusiva e discreta: sono immagini ectoplasmatiche che arrivano e vanno via portando con sé l’eco di un mondo sommerso, come ‘La Cathédrale engloutie”, Prélude X del I Libro per pianoforte. E proprio l’elemento acqua è una delle chiavi per entrare in questo mondo sommerso e misterioso. Il rapporto fra Debussy e l’acqua è una costante già se si scorrono i titoli delle sue composizioni: oltre al Prélude già citato, Ondine (Prélude II libro), Voiles (Préludes I libro), Des pas sur la neige (Préludes I libro), La mer (3 schizzi sinfonici: De l’aube à midi sur la mer, Jeux de vagues, Dialogue du vent et de la mer), Sirènes (n. 3 dei ‘Nocturnes’ per orch.), Le jet d’eau (n. 3 da ‘5 Poèmes de Baudelaire’ per canto e pf.), La mer est plus belle (n. 1 da ‘3 Mélodies de Verlaine’ per canto e pf.), Pagodes e Jardin sous la pluie (n. 1 e n. 3 da Estampes per pf.), Reflects dans l’eau (n. 1 da Images I libro per pf.), The snow is dancing (n. 4 da Children’s Corner per pf.), En bateau (n. 1 da Petite Suite per pf. a 4 mani), Pur remercier la pluie au matin (n. 6 da ‘6 Epigraphes antiques’ per pf. a 4 mani). A questi titoli va aggiunta l’importanza dell’acqua nel dramma di Maeterlinck messo in musica da Debussy, Pelléas et Mélisande.

L’acqua di Debussy non è iconografia, cartolina illustrata, descrizione di un evento, ma una chiave per penetrare in quell’«altro» cui si riferiva lo stesso compositore. Si commetterebbe certo un sacrilegio nel tentare di etichettare la concezione debussyana dell’acqua, anche perché essa si presenta sempre in maniera cangiante. Del resto, è il filosofo greco Eraclito a ricordarci che non possiamo immergerci due volte nella stessa acqua, perché ad ogni istante essa cambia e non è più la stessa di prima. Prendiamo come esempio il Prélude n. 10 del I libro, La Cathedràle engloutie. Fra i vari livelli possibili di analisi, ve ne è uno che sembra rimandare nientemeno che a Richard Wagner. Potrebbe trattarsi di un omaggio nascosto al compositore tedesco (infatti la cattedrale è engloutie = inghiottita), non certo dal punto di vista puramente musicale. Wagner è la cattedrale, vestigia di una concezione diversa della musica, che Debussy rispettava pur non condividendola. Quindi ecco perché l’omaggio deve essere nascosto. Ma in base a cosa possiamo legare questo Prélude a Wagner? Per un motivo molto semplice: la Cattedrale dipinta nel brano è la mitica città di Ys, che una leggenda celtica vede risorgere dall’oceano prima di esserne di nuovo inghiottita. Ma Ys è anche la città collegata a Isolde. Ecco quindi spuntare dall’oceano quello stesso Wagner che altrove Debussy mette alla berlina, scimmiottando i due temi principali di Tristan und Isolde nello scanzonato Golliwogg’s Cake-walk (n. 6 di Children’s Corner). Un altro riferimento interessante è che nell’alfabeto runico, un mistico geroglifico della tradizione celtica (cui Wagner attinge abbondantemente per il ‘plot’ delle sue opere), esiste una runa, ossia una lettera, che ha la forma della nostra ‘I’, maiuscola, e che si chiama, appunto Is, e indica precisamente l’acqua ghiacciata. Infatti nelle lingue anglosassoni ice (inglese) e Eis (tedesco) è ghiaccio (si pronunciano alla stessa maniera). Come non riconoscere nelle formazioni accordali di Debussy dei possenti iceberg che sorgono dal mare come, appunto, una cattedrale? E il fatto che poi la cattedrale venga di nuovo sommersa non coincide con lo scioglimento dei ghiacci che formano l’iceberg? Il ghiaccio è apparentemente immobile, ma è un paradigma dell’eterno divenire: quando si scioglie le cose hanno luogo. Inoltre, un cristallo di ghiaccio visto al microscopio è una delle creazioni più perfette e complesse che ci siano, quindi si potrebbe dire che un blocco di ghiaccio non è altro che la bellezza che attende di essere sciolta.

Dal punto di vista musicale, Debussy realizza le stalattiti di ghiaccio con accordi per quarte e quinte racchiusi in due livelli indicanti la profondità: nell’incipit, l’accordo prolungato che incede all’inizio ogni due misure (semibrevi puntate), e allo stesso tempo le semiminime che si profilano come pinnacoli sorgenti dall’oceano. Questa zona musicale è resa per mezzo della scala diatonico-modale (l’inizio sembra alludere ad un modo misolidio, poi lidio). Nella frase di risposta emerge un pedale interno di ‘mi’, ad indicare la fissità del ghiaccio, mentre si svolge lenta e rigida una processione di minime imperniata su una scala pentafonica mi-sol#-la#-do#-re# (tetrafonica se si esclude il mi). Poi riprende la situazione iniziale su due livelli sonori. Uno degli aspetti più avvincenti e innovativi di Debussy consiste nel fatto che, mentre nello stile ereditato dalla tradizione, più eventi sonori, pur essendo perfettamente possibili, erano inevitabilmente gerarchizzati, nella sua musica sono presenti più piani sonori che però restano sempre assolutamente indipendenti senza che uno assuma un’importanza decisiva rispetto all’altro. Si noti anche l’espressione ‘sans nuances’ (senza sfumature) apposta da Debussy a confermare la fissità del paesaggio (di solito le ‘nuances’ sono uno degli elementi più caratteristici in Debussy). Le altre indicazioni presenti appaiono illuminanti per carpire l’atmosfera del brano: Profondément calme (dans une brume doucement sonore, in una bruma dolcemente sonora) ci immerge in questa nebbia ghiacciata. Vale ricordare che il termine ‘bruma’ deriva da una parola latina che indica il giorno più breve dell’anno, che coincide, appunto, col pieno inverno (il regno di Ys). Doux et fluide, scrive Debussy all’inizio della seconda frase. Il concetto di fluidità è ovviamente legato all’elemento acqua. Ma perché la dolcezza? Proprio per ricordare che il ghiaccio è solo freddo che attende di essere sciolto. Ed infatti, nella seconda parte ecco che la cattedrale sorge dall’oceano: l’atmosfera sonora diventa quasi subito ‘calda’. E il tepore che scioglie è affidato all’inserimento di soffici accordi per seconde. L’intervallo di seconda come sonorità calda è un’invenzione assolutamente debussyana. L’armonia qui è nettamente modale, in chiave però moderna: prima un ‘campo 5 diesis’, poi un ‘campo 3 bemolli’.
A partire da batt. 22, la cattedrale è ormai emersa: la solennità della costruzione è espressa con un andamento maestoso di sarabanda, impostata in campo diatonico, dapprima campo 0 (senza alterazioni) e quindi in campo 1 bemolle. A partire da batt.28, arrivati al climax, ecco che i rintocchi cupi del do basso (la profondità dell’oceano) richiamano giù la cattedrale.
Si noti la raffinatezza timbrica delle misure 42-46: quattro sonorità diverse dal ‘p’ al ‘più pp’ in quattro battute consecutive, come pure la costruzione di accordi per seconde che adesso non sono più caldi come prima ma si stanno raffreddando perché la cattedrale sta per essere inghiottita. Come può essere che uno stesso procedimento compositivo, in questo caso un accordo per seconde, dia luogo a breve distanza ad effetti così diversi? Nel primo caso, l’intervallo di seconda è inserito all’interno di un nucleo triadico: ad es. la batt. 16 mantiene l’armonia di base della triade maggiore di si, alla quale aggiunge il do# che urta dolcemente di seconda con il re#, e il sol# che fa lo stesso con il fa#. Oltretutto, questo sol# si trova a distanza di 9ª con lo stesso fa#, formando un intervallo che altro non è se non una 2ª composta (2+7=9) Gli intervalli di seconda delle batt. 42 e sgg., invece, sono come sospesi nel vuoto: nient’altro che un do e un re replicati all’ottava in un registro sovracuto, mentre il basso sprofonda nelle viscere dell’oceano. Nella parte finale il mistero ha il sopravvento, ed è reso musicalmente con incredibile perizia da Debussy. Si comincia con un ‘pp’ ‘espressivo e concentrato’.  La sonorità si ‘concentra’ su poche note iniziali sostenute da un pedale di sol# in campo 4/5 diesis, poi si amplia nuovamente come in un ultimo tentativo di emergere (infatti di nuovo abbiamo, al terzo sistema, le sonorità calde ottenute con gli accordi di seconda), che raggiungono un istante di estasi lirica sull’ultimo ‘ff’, prima di sprofondare definitivamente.
Come è realizzata questa discesa nell’abisso? Per mezzo di una serie di 10 accordi di settima di prima specie consecutivi (non è una progressione regolare, ma viene costruita, come al solito, per associazioni successive). Gli accordi utilizzati sono 5 (partendo dalle note sol#-la-si-do#-re#) e vengono ripetuti quindi due volte (5x2=10).

C’è da dire che l’utilizzo di una ‘ex-settima di dominante’ per conferire al passaggio il senso di ineluttabile destino costituisce un esempio di come Debussy utilizzi (inconsciamente o meno) un tòpos tonale sia pure in un nuovissimo contesto: la settima di dominante come conclusione di qualcosa (ex cadenza perfetta) è qui ridotta alla singola sonorità (senza risoluzione sulla tonica), e collegata solo a sé stessa: concludere senza concludere.
Il momento più straordinario è l’ultima pagina, la coda, in cui il mare ha ormai sommerso la cattedrale, e tutto sembra rispondere ad un preciso e inafferrabile disegno, cosa che ha fatto scrivere ad Oscar Bie che

il suono del pianoforte esiste come entità a sé, un suono che non si sostiene in un fervore emotivo, ma che svanisce proprio nell’attimo in cui esiste.[1]

‘Flottante e sordo’: il flottare richiama l’ondeggiare del mare che sommerge la cattedrale, visivamente espresso con il mormorio della mano sinistra che ripete una figurazione di crome sotto forma di pedale ostinato. Le onde sono però ‘sorde’ nel momento in cui fanno inabissare la costruzione. La sordità è caratterizzata dal silenzio, che è il “non-detto” e l’”ellisse” di cui parla Dujka Smoje[2]:

I Préludes aggiungono un intero ventaglio di tecniche che disintegrano la materia sonora (…) Senza ancoraggio al suolo, senza fine, senza inizio (…) L’atmosfera di mistero che se ne ricava non ha alcunché di aneddotico, è il non-detto, la nostalgia di un altrove che non può essere nominato.

Riguardo il silenzio, un racconto breve di Franz Kafka illustra alla perfezione la poetica del non-detto:

Per difendersi dalle Sirene, Odisseo si tappò le orecchie con la cera e si lasciò incatenare all’albero maestro. (…) Il canto delle Sirene penetrava dappertutto e la passione dei sedotti avrebbe spezzato ben più che catene e albero. Ma Odisseo non pensò a questo. (…) Ora, le Sirene hanno un’arma ancora più terribile del canto, il silenzio. Non è accaduto, ma si potrebbe pensare che qualcuno si sia salvato dal loro canto, ma non certo dal loro silenzio. (…) E, in effetti, quando Odisseo arrivò, le potenti cantatrici non cantarono (…) Ma Odisseo non udì il loro silenzio, credette che cantassero e che solo lui fosse protetto dall’udirlo. (…) Ma quelle, più belle che mai, si stirarono e si girarono, lasciarono agitare al vento i loro tremendi capelli sciolti e tesero le loro unghie sulle rocce. Non volevano più sedurre, volevano solo carpire il più a lungo possibile il riverbero dei grandi occhi di Odisseo.[3]

Così come il ghiaccio e il freddo non sono altro che caldo potenziale, il non-detto e il silenzio sono prefigurazioni della parola e del suono, evocazioni di un’assenza. Come scrive Mallarmè

Nominare un oggetto vuol dire sopprimere i tre quarti del godimento della poesia, che è fatta di un lento divenire: suggerirlo, ecco il sogno. È l’uso perfetto di questo mistero che costituisce il simbolo[4].

Le ultime 6 misure costituiscono il ritorno circolare al punto di partenza: torna infatti la situazione iniziale di accordi-pinnacolo, però questa volta sommersi dalle acque, attraverso le quali pare quasi di intravederli. La differenza, importantissima, è che stavolta gli accordi accolgono al loro interno tutti e tre gli intervalli usati prima: intervalli di seconda, quarta e quinta, in una costruzione armonica solenne e preziosa come le guglie di una cattedrale gotica. Il riferimento all’arte gotica non è casuale, perché la musica ‘spazializzata’ di Debussy appare assai in sincrono con la ricerca degli spazi tipica delle cattedrali di questo stile: nessun compositore prima di lui ha saputo utilizzare la tastiera del pianoforte in tutte le sua zone con tanta maestria: oscuri echi sommersi del registro grave, come cristalline sonorità della zona sovracuta, allo stesso modo del folle slancio verso l’alto della Cattedrale di Chartres o di quella di Saint-Denis, nelle quali l’elemento materiale (la costruzione) e quello spirituale (la chiesa come simbolo dell’elevazione) si riuniscono sotto lo stesso segno. Infine, sia Debussy che il gotico nascono in Francia: questo brano adombra una cattedrale come cattedrali sono le costruzioni gotiche, e, forse, un accordo si ‘costruisce’ come una cattedrale. «La leggenda», scrive Franz Kafka[5], «tenta di spiegare l’inspiegabile. Dal momento che proviene da un fondo di verità, deve finire di nuovo nell’inspiegabile».
Senza ombra di dubbio i numeri di questo Preludio sono il 2, il 4 e il 5. Abbiamo già segnalato come tutte le costruzioni verticalizzate di questo brano sono pensate per nuclei accordali di 2ª, 4ª e 5ª. Questo corrisponde ad uno schema molto preciso, che abbiamo chiamato ‘matrice’ (M), la cui altezza originale è un’ottava sopra i suoni indicati nel primo rigo. Questa annotazione è importante perché nel corso del brano tutte le trasposizioni (indicate con ‘t’ della matrice avvengono sempre in senso discendente (ad es., t = -1 significa che M è stato trasportato un semitono sotto), a indicare, forse, le profondità oceaniche che ingoiano la cattedrale. Nelle prime 5 battute M viene proposta come ostinato, e armonizzato con accordi per quarte e quinte (parte in semiminime). Contemporaneamente, un altro evento sonoro (semibrevi puntate), dà al brano l’idea di profondità con un re sovracuto e un sol grave (armonizzati con un accordo per quinte vuote); il re rimane come pedale superiore, mentre il sol discende diatonicamente verso le note fa-mi-do (note nere al basso). La tecnica di Debussy di costruire un tratto ricavandolo dal precedente per mezzo di un ‘piccolo tocco successivo’ è una costante di questo brano: infatti osserviamo che la seconda frase, quella costruita sulla scala tetra/pentafonica (mi)-sol#-do#-re#, è ricavata dalla trasposizione di M un semitono e 6 semitoni sotto. C’è però una prima trasformazione di M, indicata con M4: infatti il secondo intervallo non è più di una 5ª ma di una 4ª: do#-re#-sol#. La presenza del pedale interno e superiore di mi deriva dal mi basso di misura 5, che viene inglobato nell’elemento successivo passando dal grave all’acuto proprio come la cattedrale sorge dagli abissi marini. Un altro esempio di questa tecnica dell’”aggancio” si ha nel passaggio da mis. 9 a 10: il sol# diventa un aggancio con la nuova enunciazione di M (M4 con t = -6). Alla mis. 14 avviene una trasformazione importante: torna per due battute la situazione iniziale, con M in forma originale, questa volta, però, contrappuntato da un si sovracuto che servirà da aggancio per la sezione che comincia a mis. 16. Infatti, da qui inizia una nuova sezione (in cui si vedrà la cattedrale emergere). Il si di prima viene assunto come pedale inferiore, si passa ad un campo 5 diesis e si svolge M per t = -8. La ‘modulazione di modo’ tra 18 e 19 porta ad un pedale inferiore di mi b agganciato per mezzo del re# della precedente sezione, e ad un campo 3 bemolli con trasposizione di M 4 semitoni sotto. Qui però avviene un altro fatto importante: la matrice viene presentata sia con la quarta che con la quinta, quindi diventa di 4 note anziché 3, e viene segnalata nello schema di analisi con l’indicazione M4/5. Alla misura 22, con il consueto aggancio per mezzo del sol, troviamo un altro trasporto di M4, e ancora un altro nella sezione solenne e grandiosa che inizia a 28, in cui la cattedrale è ormai emersa. In questa sezione M viene ampliato melodicamente per mezzo dell’utilizzazione di due scale esafoniche, le quali sono agganciate reciprocamente per mezzo del la. A mis. 42 troviamo un’altra trasformazione di M, questa volta per ‘concentrazione’: viene utilizzato con effetto ‘agghiacciante’ solo l’intervallo iniziale di seconda per costruire un accordo di sole seconde. Dalla mis. 47 alla 71 troviamo principalmente tre forme di M, di cui l’ultima è segnalata come M3, perché manifesta un restringimento ulteriore del secondo intervallo, che ora è diventato di terza. Da notare anche le fitte imitazioni di M fra le due mani. La parte finale manifesta una doppia M: la destra lo trasporta due semitoni sotto, e poi continua con la frase melodica sentita a partire da 28, mentre la sinistra con il mormorio flottante e sordo presenta un ostinato della stessa figurazione M4. La fine è incredibile: M in forma originale si mescola con M4 per mezzo dell’aggancio fornito dalla nota re.
Da queste semplici osservazioni risulta come l’arte di Debussy, pur evidenziandosi per spontaneità e innovazione, procede per strutture molto particolareggiate dal punto di vista compositivo. Non è un mero accatastarsi di sensazioni svincolate da problemi formali e tecnici, ma un attento, accurato e approfondito lavoro di un compositore perfettamente consapevole dei mezzi a sua disposizione.

Ritroviamo in questo Preludio molti numeri della sequenza di Fibonacci, strettamente collegati alla Sezione Aurea. Dati i primi 11 numeri della serie di Fibonacci, otteniamo la sequenza:

                1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89

89 sono le misure totali del brano, che è caratterizzato da un metro ambiguamente alternato tra 6/4 e 3/2. Le 89 battute sono suddivise in 5 gruppi in cui si effettua il cambio di metro, secondo il seguente schema:

metro     misure
6/4         1-6
3/2         7-12
6/4         13-21
3/2         22-83
6/4         84-89

In tutto, quindi, abbiamo 21 battute in 6/4, e 68 in 3/2. Ma quelle in 3/2 vengono eseguite a velocità doppia rispetto alle altre, in quanto, come riportato nella edizione Henle Verlag,  l’autore le suonava secondo l’indicazione  h    =  q  ,   che pertanto può essere considerata come punto di riferimento. Pertanto 68:2 = 34, che, sommate alle 21 in 6/4 danno 55.





[1] Oscar Bie, The History of the Pianoforte and Pianoforte Players, Da Capo Press, New York, 1966.
[2] Dujka Smoje, L’udibile e l’inudibile, in Enciclopedia della musica Einaudi, Torino, 2006, vol. I, pag. 199-200.
[3] Franz Kafka, Tutti i romanzi e i racconti, Torriana, Orsa Maggiore, 1991, pag. 712.
[4] Stephane Mallarmè, Oeuvres complètes, Gallimard, Paris, pag. 869.
[5] Franz Kafka, cit., pag. 713.

7 commenti:

  1. Il "Padre della musica moderna" usava deliberatamente la sezione aurea, eppure alcuni "studiosi" continuano a fare lo gnorri. Egli lasciava qua e là misteriose tracce esoteriche, forse allo scopo di guidare tentativi d'interpretazione o lasciare agli addetti ai lavori indicazioni ermetiche di tipo filosofico-numerologico e cabalistico.
    Debussy inviò all'editore Durand le bozze corrette delle Estampes scrivendo:
    «Vous verrez, à la page 8 de “Jardins sous la Pluie”, qu'il manque une mesure; c'est d'ailleurs un oubli de ma part, car elle n'est pas dans le manuscrit. Pourtant, elle est nécessaire, quant au nombre; le divine nombre...».

    Antonella B.

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  2. Cara Antonella, gli 'gnorri', ovvero gli scettici, sono da sempre un freno alla conoscenza. In compenso, Debussy ha disseminato di tracce le sue opere, per 'colui che segretamente ascolta', come leggiamo nel motto della Fantasia op.l 17 di Schumann. Alle persona di buona volontà il compito di decifrare questi segni per giungere alla Gnosi.

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  3. Gnòrri s. m. [tratto da ignorare]. – Usato nella locuz. «fare lo gnorri», fingere di non sapere, di non capire (con usi analoghi a nesci).

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  4. Perfetto, direi. Mentre lo gnòrri finge di non sapere, il socratico sa di non sapere; infine metterei un'altra categoria, potenzialmente più ampia: di chi non sa di sapere. E questa è la strada da percorrere: levigare la pietra interiore fino a far apparire il diamante che c'è in ognuno di noi.

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  6. E' impossibile prescindere da un messaggio di profonda religiosità, che Debussy forse ha espresso non sapendo di esprimerla. Nell'opera il canto religioso è nel 'forte' quando la cattedrale emerge ed è nel 'piano' quando la cattedrale sprofonda. E noi ascoltando gli andiamo appresso e entra nella potenza di questa musica solo chi si commuove nell'ascoltarla.

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