venerdì 29 luglio 2011

Edgar Cayce sulla musica

Dalle innumerevoli Letture di Edgar Cayce, sensitivo vissuto in America dal 1877 al 1945, pubblichiamo alcuni pensieri sulla musica di grande profondità e bellezza.

Impara la musica. Fa parte della bellezza dello spirito. Perché, ricordati, la musica da sola può gettare un ponte attraverso quello spazio fra il finito e l’infinito. Nell’armonia del suono, nell’armonia del colore, anche nell’armonia del movimento stesso la sua bellezza è simile a quell’espressione del sé dell’anima, nell’armonia della mente, se usata correttamente in rapporto con il corpo. 
La musica può essere il mezzo per suscitare e risvegliare il massimo della speranza, il meglio nel cuore e nell’anima di coloro che ascoltano davvero. Non è la musica la lingua universale, sia per coloro che vorrebbero dare elogio che per coloro che sono dispiaciuti nel cuore e nell’anima ? Non è essa un mezzo, un modo di espressione universale ?
Se impari la musica, imparerai la storia. Se impari la musica, imparerai la matematica. Se impari la musica, imparerai la maggior parte di ciò che c’è da imparare, eccetto le cose cattive.
Ricorda...la musica è quell’elemento che può attraversare la distanza fra il sublime e il ridicolo. 
Conserva la musica delle sfere, la luce delle stelle, la dolcezza del chiaro di luna sull’acqua come sugli alberi. Perché la natura nel suo canto, come gli uccelli, come le api fanno musica al loro Creatore, contribuì all’uomo.

mercoledì 20 luglio 2011

Schönberg, Quartetto op. 7: un'analisi di Alban Berg (2ª parte)

Anche se questa melodia potrebbe sfuggire a qualcuno senza danneggiare l’impressione generale, è inconcepibile che vi possa essere qualcuno che afferri anche la parte iniziale dell’idea principale se non ascolta il canto espressivo della linea del basso. E questo può facilmente accadere, dato che questa melodia è divisa in due frasi, questa volta di tre battute ognuna (es. 35). 

Arnold Schönberg: Quartetto op. 7: un'analisi di Alban Berg (1ª parte)

Arnold Schönberg – Quartetto in re minore op. 7 per archi
Si tratta di un’ampia opera che dura quasi un’ora, in un solo movimento con quattro suddivisioni interne (Non veloce – Scherzo – Adagio – Rondò). Iniziato nell’estate nel 1904 e completato a settembre del 1905, questo Quartetto possiede una rimarchevole intensità e densità di scrittura. E’ un brano tonale, anche se talvolta utilizza armonie quartali. Utilizza pochi temi, e, come scrive Berg, li utilizza in numerosissime combinazioni sempre nuove attraverso una molteplicità di tecniche. Un’altra innovazione è la cosiddetta prosa musicale, per usare l’espressione dell’autore, secondo la quale le strutture regolari e simmetriche della frase classica vengono sostituite da frasi asimmetriche che, unite insieme, si raggruppano in unità più ampie di grande respiro. La prima esecuzione avvenne a Vienna il 5 febbraio 1907 per opera del Quartetto Rosé. Gustav Mahler, dopo aver visto la partitura, disse a Schönberg: “Ho diretto le più difficili partiture di Wagner. Ho scritto io stesso musica complicata in sistemi di più di trenta pentagrammi; tuttavia ecco una partitura con solo quattro pentagrammi, ed io sono incapace di leggerla”.
Pubblichiamo un illuminante saggio di Alban Berg sul Quartetto, inedito in italiano.
  
Perché la musica di Schönberg è così difficile da comprendere?
Alban Berg

Dal numero speciale di Musikblätter des Anbruch celebrativo del 50° compleanno di Schönberg, 13.9.1924
Traduzione di Andrea F. Calabrese

Per rispondere a questa domanda si sarebbe portati a delineare le idee soggiacenti all’opera di Schönberg, a investigarla dal punto di viste del pensiero. In altre parole, fare quello che viene frequentemente fatto: cercare di cogliere la musica per mezzo di argomenti filosofici, letterari o di altro tipo. Non è questa la mia intenzione! Sono preoccupato unicamente di ciò che avviene musicalmente nelle opere di Schönberg; il modo compositivo di espressione che, come il linguaggio di qualsiasi forma d’arte (cosa che dobbiamo accettare come premessa) deve essere considerato l’unico adeguato alla rappresentazione dell’oggetto. Comprendere questo linguaggio fino in fondo in tutti i suoi dettagli, ad esempio (per esprimersi in generale) riconoscere l’inizio, lo svolgimento e la fine di tutte le melodie, ascoltare il risuonare insieme delle voci non come un fenomeno casuale ma come armonie e progressioni armoniche, tracciare grandi e piccole relazioni e contrasti per ciò che sono, insomma, per dirla in breve: seguire un brano di musica come si seguono le parole di un poema in un linguaggio che si è padroneggiato fino in fondo è la stessa cosa – per chi possiede il dono di pensare musicalmente – che comprendere l’opera in sé. Così la domanda che si trova in cima alla ricerca riceve risposta se riusciamo ad esaminare il modo di espressione musicale di Schönberg in riferimento alla sua comprensibilità, e quindi tracciamo le conclusioni fino al punto in cui è possibile.

martedì 12 luglio 2011

Robert Lawlor: Sacred Geometry - Introduzione

Accogliendo le numerose richieste,completiamo la traduzione dell'Introduzione di questo prezioso lavoro di Lawlor, citato in un post precedente. 

Robert Lawlor, Sacred Geometry, London, Thames & Hudson, 1982


Introduzione
Stiamo assistendo ad un cambiamento generale nella scienza moderna, che sta passando dalla visione che la natura fondamentale della materia possa essere considerata dal punto di vista della sostanza (particelle, quanta) al concetto che la natura fondamentale del mondo materiale sia conoscibile solo attraverso i suoi modelli soggiacenti in forme d’onda.
Sia i nostri organi di senso che il mondo fenomenico che percepiamo sembrano essere meglio compresi in termini di sistemi di puro modello, o come strutture geometriche basate su forma e proporzione. Ragion per cui, quando molte culture del passato hanno scelto di esaminare la realtà attraverso le metafore della geometria e della musica (essendo la musica lo studio della leggi proporzionali della frequenza del suono), queste culture erano già davvero vicine alla posizione attuale della maggior parte della scienza contemporanea.

domenica 10 luglio 2011

Debussy, La Cathédrale engloutie: analisi di un piccolo gioiello


Claude Debussy – La Cathédrale engloutie
Prèludes per pianoforte, Libro I


M’è sempre parso che la musica dovrebbe essere soltanto silenzio, e il mistero del silenzio che cerca d’esprimersi. Prendete, ad esempio, una fontana. L’acqua muta riempie i condotti, vi si accumula, ne trabocca, e la perla che cade è sonora. Mi è sempre parso che la musica dovrebbe essere solo il traboccare di un grande silenzio.
Marguerite Yourcenar, Alexis o il trattato della lotta vana.

Debussy, l’acqua e il silenzio.

La portata rivoluzionaria dell’opus di Claude Debussy, pur continuamente analizzata dalla musicologia ufficiale, tende ad essere percepita dal pubblico medio in una forma abbastanza ridotta: al più, le sue musiche sono collocate in una nicchia dorata in cui il sapore evocativo e impressionistico delle armonie si mescola con momenti di eleganti ‘trovate’ musicali, partorite da uno spirito libero e anche un po’ bizzarro. Questa la copertina del libro dei luoghi comuni. Diciamo anzitutto che collocare Debussy nell’ambito dell’impressionismo è assai limitante. È lo stesso autore a ricordarcelo in maniera inequivocabile: «Io tento di fare altro, un certo modo di intendere la realtà, cosa che gli imbecilli definiscono impressionismo». Certo, ad ascoltare alcune pagine, verrebbe abbastanza naturale riferirsi ad un’immagine, a qualche evento esterno o interno che ‘impressiona’ il compositore, del quale egli poi sviluppa le diapositive musicali. Ma lo spirito di Debussy è quello di un uomo che non vuole essere sommerso dalle etichette; inoltre, poiché il termine è sinesteticamente preso a prestito dalla pittura, ci sarebbe anche il rischio di perdere la sostanza musicale alla ricerca di facili e banali corrispondenze fra immagine e gesto sonoro. Debussy realizza l’evocatività delle sue pagine sempre in maniera allusiva e discreta: sono immagini ectoplasmatiche che arrivano e vanno via portando con sé l’eco di un mondo sommerso, come ‘La Cathédrale engloutie”, Prélude X del I Libro per pianoforte. E proprio l’elemento acqua è una delle chiavi per entrare in questo mondo sommerso e misterioso. Il rapporto fra Debussy e l’acqua è una costante già se si scorrono i titoli delle sue composizioni: oltre al Prélude già citato, Ondine (Prélude II libro), Voiles (Préludes I libro), Des pas sur la neige (Préludes I libro), La mer (3 schizzi sinfonici: De l’aube à midi sur la mer, Jeux de vagues, Dialogue du vent et de la mer), Sirènes (n. 3 dei ‘Nocturnes’ per orch.), Le jet d’eau (n. 3 da ‘5 Poèmes de Baudelaire’ per canto e pf.), La mer est plus belle (n. 1 da ‘3 Mélodies de Verlaine’ per canto e pf.), Pagodes e Jardin sous la pluie (n. 1 e n. 3 da Estampes per pf.), Reflects dans l’eau (n. 1 da Images I libro per pf.), The snow is dancing (n. 4 da Children’s Corner per pf.), En bateau (n. 1 da Petite Suite per pf. a 4 mani), Pur remercier la pluie au matin (n. 6 da ‘6 Epigraphes antiques’ per pf. a 4 mani). A questi titoli va aggiunta l’importanza dell’acqua nel dramma di Maeterlinck messo in musica da Debussy, Pelléas et Mélisande.

venerdì 8 luglio 2011

Intervista al M° Francesco Romano

Intervista al M° Francesco Romano, compositore formatosi alla scuola di Paolo Renosto e di Eliodoro Sollima, docente di Teoria dell’armonia e analisi ed esperto di nuove tecnologie musicali
1)      Maestro Francesco Romano, anzitutto desidero ringraziarti per avere accettato questa intervista. Vorrei cominciare con una riflessione generale da parte tua sulla possibilità di condividere conoscenze per mezzo delle nuove tecnologie, ovviamente mi riferisco soprattutto alla rete.
Le nuove tecnologie ci hanno messo a disposizione nuovi strumenti per abitare la conoscenza. Il computer, e tutto ciò che ad esso è collegabile, si offre come prolungamento del sé e come mezzo di connessione tra quest’ultimo e il virtuale. Attraverso tale collegamento uomo-macchina si realizza un’immersione in un mondo “diverso” che favorisce la creatività, la fantasia, il gioco ed anche una certa forma di pensiero. Quanto alla rete, la quantità di dati e informazioni che ci mette a disposizione è talmente grande che la loro corretta gestione da parte dell’utilizzatore diventa di cruciale importanza. E’ imperativo, infatti, saper cercare, selezionare, filtrare, confrontare, vagliare in un oceano di fonti che, per quanto stimolanti, non sempre sono attendibili. Internet è l’agorà della polis globale, luogo di libero scambio di conoscenze su scala mondiale. L’annullamento di tempi e distanze, associato alla conoscenza soprattutto della lingua inglese, fluidifica, stimola e arricchisce lo scambio di idee ed esperienze con una potenza mai vista nell’intera storia dell’uomo. L’insofferenza dei regimi dittatoriali alla diffusione della rete costituisce la prova della sua grande forza. Ma internet è al contempo fragile, legata com’è alle normali infrastrutture di comunicazione terrestre che possono essere, come già accade, facilmente “imbavagliate”.
2)      Cosa pensi del rapporto tra musica e matematica, su cui spesso si discute? Coloro, infatti, che considerano i numeri delle semplici quantità non riescono a cogliere i nessi profondi tra le due discipline, e magari pensano che l’arte dei suoni sia da considerare soprattutto dal punto di vista pratico-interpretativo, perché appunto, essendo ‘arte’, non ha a che vedere con la matematica. Potresti dire la tua opinione su questo?
C’era il musicus e c’era il cantor. Due figure di antica memoria esercenti la musica, entrambe indispensabili, che operavano all’interno di orizzonti concentrici, il più grande dei quali poteva includere o no l’altro.  Chi non coglieva i rapporti tra la matematica, la geometria e la musica, agiva all’interno dell’orizzonte più piccolo –ma non meno importante- di chi era vocato ad eseguire, interpretare, comporre, dirigere ecc. Un ambito essenzialmente operativo, insomma, quello del cantor, in cui la musica si creava e ri-creava.
Il musicus era colui che si occupava della composizione, della teoria, dei nessi profondi della musica al di là delle contingenze pratiche. Il musicus era in grado non solo di interpretare alla luce dell’esperienza, ma soprattutto di “pensare” la musica in intima connessione con il proprio ambito culturale. La portata di una tale figura andava ben oltre le occasioni performative, proiettandosi attraverso studi e composizioni nel più vasto orizzonte della cultura del tempo. La sintesi di queste due figure è ritrovabile già nel tardo Medioevo: il cantor peritus et perfectus. Figura preziosa e rara, in ogni epoca.

lunedì 4 luglio 2011

Un centenario (quasi) dimenticato: Franco Ferrara

 
Il 4 luglio 1911 nasceva a Palermo il direttore d'orchestra Franco Ferrara, considerato uno dei più grandi direttori di sempre. Diplomato in pianoforte, organo, violino e composizione, diresse per la prima volta a soli 9 anni, sviluppando successivamente una carriera prestigiosa che lo avrebbe portato nei principali teatri di tutto il mondo. L'intransigenza del suo carattere e la sua lotta contro la superficialità nel mondo dell'arte furono i suoi tratti distintivi, che probabilmente gli preclusero la possibilità di diventare 'famoso' come Herbert von Karajan e altri. Ma la sua arte è testimoniata, oltre che dalle incisioni, da una innumerevole schiera di circa 600 allievi che ne hanno custodito la memoria.
Al momento non giungono notizie di eventuali festeggiamenti o iniziative riguardo questa importante ricorrenza. Ringraziamo il M° Francesco Romano per la preziosa segnalazione, e auspichiamo che in Italia si abbia maggiore coraggio nel promuovere la vera cultura e la vera arte.
Sul sito:
http://www.oocities.org/gianluigizampieri/FRANCO_FERRARA.html
si troveranno informazioni dettagliate su Franco Ferrara a cura di uno dei suoi allievi, Gianluigi Zampieri.

Louis-Ferdinand Céline, "Viaggio al termine della notte". L'Ulysses dei disgraziati

“Viaggio al termine della notte” non si risparmia niente: un grido d’angoscia costante dal primo all’ultimo rigo, ma senza un briciolo...