venerdì 8 luglio 2011

Intervista al M° Francesco Romano

Intervista al M° Francesco Romano, compositore formatosi alla scuola di Paolo Renosto e di Eliodoro Sollima, docente di Teoria dell’armonia e analisi ed esperto di nuove tecnologie musicali
1)      Maestro Francesco Romano, anzitutto desidero ringraziarti per avere accettato questa intervista. Vorrei cominciare con una riflessione generale da parte tua sulla possibilità di condividere conoscenze per mezzo delle nuove tecnologie, ovviamente mi riferisco soprattutto alla rete.
Le nuove tecnologie ci hanno messo a disposizione nuovi strumenti per abitare la conoscenza. Il computer, e tutto ciò che ad esso è collegabile, si offre come prolungamento del sé e come mezzo di connessione tra quest’ultimo e il virtuale. Attraverso tale collegamento uomo-macchina si realizza un’immersione in un mondo “diverso” che favorisce la creatività, la fantasia, il gioco ed anche una certa forma di pensiero. Quanto alla rete, la quantità di dati e informazioni che ci mette a disposizione è talmente grande che la loro corretta gestione da parte dell’utilizzatore diventa di cruciale importanza. E’ imperativo, infatti, saper cercare, selezionare, filtrare, confrontare, vagliare in un oceano di fonti che, per quanto stimolanti, non sempre sono attendibili. Internet è l’agorà della polis globale, luogo di libero scambio di conoscenze su scala mondiale. L’annullamento di tempi e distanze, associato alla conoscenza soprattutto della lingua inglese, fluidifica, stimola e arricchisce lo scambio di idee ed esperienze con una potenza mai vista nell’intera storia dell’uomo. L’insofferenza dei regimi dittatoriali alla diffusione della rete costituisce la prova della sua grande forza. Ma internet è al contempo fragile, legata com’è alle normali infrastrutture di comunicazione terrestre che possono essere, come già accade, facilmente “imbavagliate”.
2)      Cosa pensi del rapporto tra musica e matematica, su cui spesso si discute? Coloro, infatti, che considerano i numeri delle semplici quantità non riescono a cogliere i nessi profondi tra le due discipline, e magari pensano che l’arte dei suoni sia da considerare soprattutto dal punto di vista pratico-interpretativo, perché appunto, essendo ‘arte’, non ha a che vedere con la matematica. Potresti dire la tua opinione su questo?
C’era il musicus e c’era il cantor. Due figure di antica memoria esercenti la musica, entrambe indispensabili, che operavano all’interno di orizzonti concentrici, il più grande dei quali poteva includere o no l’altro.  Chi non coglieva i rapporti tra la matematica, la geometria e la musica, agiva all’interno dell’orizzonte più piccolo –ma non meno importante- di chi era vocato ad eseguire, interpretare, comporre, dirigere ecc. Un ambito essenzialmente operativo, insomma, quello del cantor, in cui la musica si creava e ri-creava.
Il musicus era colui che si occupava della composizione, della teoria, dei nessi profondi della musica al di là delle contingenze pratiche. Il musicus era in grado non solo di interpretare alla luce dell’esperienza, ma soprattutto di “pensare” la musica in intima connessione con il proprio ambito culturale. La portata di una tale figura andava ben oltre le occasioni performative, proiettandosi attraverso studi e composizioni nel più vasto orizzonte della cultura del tempo. La sintesi di queste due figure è ritrovabile già nel tardo Medioevo: il cantor peritus et perfectus. Figura preziosa e rara, in ogni epoca.
Non sarò certo io a dovere spiegare i nessi tra l’arte e la matematica. Posso solo dire che, pur non essendo un patito di calcoli e teoremi, la matematica mi ha sempre affascinato per la sua capacità di rappresentare il mondo con  una semplicità che ha del sovrumano. E la geometria mi conforta quando mi spiega, ad esempio, la perfezione delle forme e delle proporzioni. La fisica, poi, mi aiuta a capire meglio il suono. Quando Galileo diceva che la natura è scritta in linguaggio matematico, implicitamente affermava il principio della laicizzazione della conoscenza, il primato della razionalità causale-meccanica. Si abbandonava, quindi, l’aspetto numerologico coltivato dai primi matematici come Pitagora, ma anche concezioni come quella di S. Agostino, secondo il quale i numeri sono il linguaggio universale offerto agli umani come riconferma della verità e spetta alla mente investigarne i segreti. Credo che matematica e numerologia debbano essere riconnesse dopo secoli di sbornia laicista. I numeri sono la più primitiva espressione dello spirito, archetipi universali, come li definiva Jung. Nel Rinascimento i numeri erano utilizzati e studiati approfonditamente per la musica, la poesia e l'architettura. L'associazione analogica dei significati ai numeri era molto più ricca dell'attuale sintetizzazione moderna. Credo che ci siamo persi qualcosa nella frattura tra matematica e numerologia, tra chimica e alchimia. Il mistero è stato sacrificato sull’altare del pensiero scientifico-razionale che ha ripudiato troppo frettolosamente il sapere magico-misterico tramandato dall’antichità.

3)      Una considerazione che potremmo fare a questo punto riguarda l’influenza della cultura greca e classica sulle nostre moderne acquisizioni in tema di teoria musicale in senso lato. Ritieni che la scuola pitagorica e le successive scuole filosofiche abbiano influenzato in qualche modo la formazione del pensiero musicale occidentale?
Certamente. Dobbiamo al matematico e filosofo Pitagora il merito di aver individuato nella cosiddetta “arte dei suoni” una disciplina dai vasti orizzonti. E’ lui che ha iniziato la teoria musicale e ancora oggi ci riscopriamo “pitagorici”, sia quando sentiamo semplicemente la necessità di non delegare o limitare all’ambito pratico-esecutivo il dono della musica che quando ci sentiamo affascinati dalla teoria delle superstringhe di Witten, secondo la quale l’Universo è vibrazione di corde, analoghe a quelle di uno strumento musicale (la teoria che si è dimostrata più coerente, sino ad oggi, per unificare le forze fondamentali attraverso l'iperspazio).
Vorrei però richiamare l’attenzione su qualche stereotipo o pregiudizio di cui liberarsi, sedimentato nei bassifondi della cultura, come, ad esempio, quelli del culto dell’eroe e dell’originalità a tutti i costi. Il primo infonde ammirazione acritica e separazione incolmabile nei confronti dei “grandi” del passato; il secondo blocca sul nascere le istanze creative. La sinergia di queste fissazioni mina lo sviluppo della fantasia fattiva dei bambini, che si sentono dire dai loro genitori o insegnanti che solo i musicisti possono inventare melodie e che, anche se si riesce a inventarne qualcuna, questa sarà certamente “brutta” o scopiazzata. Ciò determina un atteggiamento passivo nei confronti della musica, una separazione che inevitabilmente sminuisce la sua efficacia nella formazione del singolo. Mi chiedo quando diventerà normale considerare il valore della creatività, non solo musicale, ovviamente, nella sua dimensione minima e più stimolante, quando si darà valore a tutto ciò che prima non c’era e che viene realizzato a partire da un’idea, da una visione, non importa quanto originale essa sia bensì quanta attività creativa essa riesca a liberare.

4)      Quali sono secondo te i mezzi che un musicista di professione dovrebbe possedere per essere pienamente consapevole del suo ruolo, e, nel contempo, avere le ‘carte in regola’ per esercitare questa preziosa arte?
Il “divino” Mozart andò a Bologna da Padre Martini (autentico cantor peritus et perfectus dell’epoca) per prendere la “patente” di compositore. E’ fondamentale che il musicista abbia alla spalle un rigoroso corso di studi, ma non meno importante è che debba anche saper comprendere ciò che la musica è per l’umanità, oltre che per se stesso. Il mondo è pieno di musicisti-divi  che si preoccupano soltanto della performance. Il desiderio di avvicinare, eguagliare e possibilmente superare i livelli artistici dei “grandi” è legittimo ma non basta a completare la missione del musicista.
La musica “scrive” nel cervello profondo.  Dopo ogni esperienza di ascolto o esecuzione, anche se non ce ne accorgiamo quantitativamente, qualcosa cambia in noi perché siamo venuti a contatto con un ordine, con una coerenza.
Il musicista ha quindi la responsabilità di produrre esecuzioni che non si basino soltanto sulla “corretta” interpretazione ottenuta attraverso l’esperienza e la trasmissione del sapere, ma anche sulla personale e convinta visione di quell’ordine. E ciò non si ottiene soltanto con la tecnica, la sensibilità, il talento, ma anche con la disciplina di uno spirito che continuamente si disseta alla cultura dell’approfondimento, dell’analisi.
Per il compositore non dilettante è necessaria non solo la padronanza della tecnica, ma un’autentica immersione nella cultura del proprio tempo, per navigare con leggiadrìa tra la le scienze esatte e quelle umanistiche. Una cultura vasta, insomma, che possa ottenere una personale visione dell’uomo e del mondo, fertile retroterra delle proprie creazioni. Una composizione è un punto di vista, una dichiarazione assoluta da licenziare con la responsabilità di chi, da artista, sa proporre una coerenza che è riflesso o visione di conoscenze e orizzonti spirituali.
La riproducibilità meccanica e i contemporanei “scossoni” della musica nel ‘900 hanno profondamente modificato gli orizzonti creativi. Le “contaminazioni”, la ricerca timbrica, l’approfondita e sorvegliata riflessione estetica ed analitica costituiscono gli assi portanti del futuro della composizione. Finita l’epoca delle scie, delle correnti, delle “scuole”, baluardi dei parrucconi e nel contempo pollai per allievi di talento e non, oggi il compositore può affrancarsi dalla schiavitù di dover aderire a questa o quella moda per sperare di essere considerato. Naturalmente, ciò lo costringe ad avventurarsi in territori sconosciuti, con tutte le insicurezze e i fallimenti ai quali dovrà far fronte. Ma è proprio questa la missione dell’artista, che giocoforza dovrà essere nutrita dalla certezza di non poter confidare nel mestiere del comporre per guadagnarsi da vivere, pur potendo oggi contare molto sugli strumenti informatici e telematici per produrre e autopromuoversi.


5)      Torniamo ai rapporti tra musica e altre discipline. Oggi una certa cultura, spesso sbrigativamente indicata come ‘new age’, ma in realtà composta da mille sfaccettature diverse, parla del concetto di ‘olismo’ per indicare le corrispondenze tra le varie discipline che dovrebbero condurre all’unità della conoscenza. Pensi sia realistico immaginare un futuro in cui musica e geometria, scienza e religione, matematica e poesia possano raggiungere una unità nel sentire, come adombrato ad esempio da Hermann Hesse nel ‘Giuoco delle perle di vetro’?
Non credo che l’olismo debba molto a quel calderone di elementi disparati ormai in declino negli U.S.A, dai quali si è diffuso. Penso, piuttosto, che si tratti di una naturale evoluzione della mentalità atomistica e meccanicistica. Dopo secoli d’indagine sugli elementi costitutivi della realtà, ora ci si rivolge alle loro connessioni. Siamo nell’epoca del link, del collegamento, dell’interconnessione tra “finestre” di conoscenza, ricalcando quella che è, in fondo, l’esperienza del sensibile, alla quale ci “apriamo” non in modo continuo ma, appunto, in finestre temporali, attimi, la cui riconnessione è la chiave del nostro percepire il mondo. Come nella filosofia del bootstrap l’universo sarebbe una trama di eventi interdipendenti le cui parti non prevalgono le une sulle altre, così le scienze, le arti, le discipline spirituali derivano reciprocamente  le loro proprietà e convergono verso una coerenza globale delle loro interrelazioni che determina l’intera struttura della conoscenza. L’antica leggenda induista della Rete delle perle di Indra aveva già intuito un’architettura che connette tutte le forme di vita, materia e energia dell’Universo.

6)      Senza necessariamente affrontare argomenti politici di attualità, pensi che il mondo della cultura contemporaneo tenga nella giusta considerazione la musica nel curricolo formativo di ogni singolo individuo?
Fino a qualche anno fa, le scuole italiane in cui si formavano i maestri elementari dedicavano alla musica una sola ora settimanale. Ora, le scuole ex magistrali sono diventate licei e, come da sempre in questi ultimi, la musica semplicemente non c’è più. Continua a essere marginalizzata nella formazione dell’individuo, confinata ad ambiti tecnico-esecutivi quali le poche scuole medie ad indirizzo musicale e i pochissimi licei musicali. A partire dagli anni ’90, grazie soprattutto all’attivazione nei conservatori dei corsi superiori di didattica della musica, è cominciato finalmente un nuovo ciclo, la formazione di musicisti specializzati nell’educazione musicale. Nelle scuole medie si comincia ad apprezzare il frutto di questo progresso formativo, ma i risultati sono frenati dalla sconfortante situazione perdurante nelle materne ed elementari. Non si tiene nella giusta considerazione che anche il semplice ascolto è attività musicale, per cui è irrinunciabile educare l’individuo sin dall’infanzia a saper percepire, oltre che suonare.
Per ottenere ciò sono necessari educatori preparati. Basterebbe testimoniare amore per la musica per ottenere risultati, formare l’amatore di musica, il musicofilo di domani (a proposito, la latitanza del termine “musicofilo” nei grandi vocabolari italiani dovrebbe fare riflettere).
Guardiamoci intorno: se, nella mitteleuropa, le sale da concerto prestigiose ospitano ogni tanto eventi di musica contemporanea, in Italia le istituzioni sono preoccupate di evitare il nuovo e le asssociazioni locali sono povere di musicofili che, invece, in altre nazioni, sono numerosi e costituiscono l’humus per la promozione della musica. Nel nostro Paese, ormai tristemente abituato a fare obolo della cultura alla politica-mercato, la musica non commerciale normalmente si riduce a concertini parrocchiali o a intermezzi per riunioni e seminari.
Il problema, però, è più generale perché quando si parla di musica si parla di cultura e quindi di società. Molti  amano il teatro, ma le compagnie teatrali amatoriali sono molto rare. Molti amano lo sport ma, anziché praticarlo, preferiscono seguirlo dagli spalti. Sono solo due esempi di quella passività a cui la nostra società ci ha ormai abituati, cioè al vivere per delega. Lo vediamo nella politica, ormai delegata a telegiornali schierati o a talk-show faziosi; lo vediamo nella scuola, alla quale viene delegata perfino la più elementare educazione dei figli; lo vediamo nella religione, dove molti delegano a pochi la pratica del culto.
Tornando alla musica, i conservatori si svuotano perché lo studio della musica è faticoso e non dà prospettive occupazionali. Si sceglie quindi la via più breve e facile: delegare al semplice o distratto ascolto la necessità di musica.
Se c’è qualcosa di realmente rivoluzionario, oggi, è reagire a questo tipo di passività in cui la società ci ha imprigionati.


7)      Parliamo della Divina Proporzione. Alcuni, pur riconoscendo l’importanza degli studi sulla sezione aurea, tendono a limitarne l’influenza nei vari campi artistici cui è stata accostata, dunque anche alla musica. Ci sono libri anche molto significativi, come quello di Livio, che fanno molti ‘distinguo’ in merito. I nemici giurati dei numeri, d’altra parte, affermano – detto in termini molto rudi – che se si vuole, si può fare uscire qualunque risultato da un’operazione o da un problema. Tu cosa pensi? Le prove che in musica, in architettura, in pittura, oltre che in natura, ci sono strutture complesse basate sulla sezione aurea, sono rilevanti o no?
Trovo affascinante l’esistenza di un “timbro” del Creatore, quale sarebbe la sezione aurea. Mi piace situarla in quella zona dematerializzata e misterica che, appunto, genera la potenza del fascino. Il senso del mistero è importante per chi cerca la verità senza nutrire aspettative. Esso mi affascina quando mi si presenta, ma non vado alla ricerca pruriginosa di misteri, tendenza –questa- alquanto diffusa nella cultura di massa, che fuorvia menti e coscienze verso peregrine congetture. Quanto ai “nemici” dei numeri, Dio li salvi.

8)      La composizione oggi: una domanda inevitabile, da compositore a compositore. Ci sono spazi per una riflessione musicale in un panorama musicale che è molto più complesso e variegato rispetto a quello di cinquanta o cento anni fa? C’è qualcosa che possiamo fare per migliorare la situazione?

La contaminazione tra generi, tanto per ricollegarmi al tema del link, si riflette nell’attività di molti compositori che, metaforicamente parlando, di giorno adattano la penna alle esigenze del commercio ma di notte confidano a una matita sincera il loro pensiero musicale. Il risultato sarebbe un “commerciale” più pregevole e un “ricercato” più accessibile.
Nel 1984, a Parigi si tenne un concerto con musiche disparate, da quelle compositore rock-jazz-fusion-blues Frank Zappa a brani di Ives e altri compositori sperimentali americani. Era la profanazione del tempio, che sancì il definitivo ingresso dell’extracolto nelle accademie. Grazie a Boulez, ideatore dell’iniziativa, si cercò di conciliare gli estremi, cioè la musica “dura e pura ma in declino” delle accademie con quella “accattivante e contaminata ma in auge” della strada. Certe cose erano già nell’aria, ma il risultato sorpassava gli intendimenti di Boulez perché, più che generi e stili musicali, si incontrarono due modi diversi di concepire la musica: il tradizionale concerto e l’entertainment, come Zappa definiva le sue creazioni. Ecco allora profilarsi la strada del mestiere di compositore distribuito su più livelli ed usato in una prospettiva di osmosi con gli ascoltatori, non timoroso di un déjà écouté trasversale di segni sonori antichi e moderni. Zappa opponeva il “mestiere” e “la grazia del talento” al triste commercio di ombre inscenato dai giovani continuatori di un linguaggio musicale vecchio di mezzo secolo, prostràti al totem del  “controllo del materiale” (utilizzabile come espediente per mascherare la mancanza di genialità) e ossessionati da una tale purificazione della musica da metterla in condizione di perdere la partita perfino col silenzio.
Sempre rimanendo in tema di link, così come la rete ci pone al centro di un oceano di dati che rischia di farci naufragare se non siamo in grado di sceglierli correttamente, la diffusione della musica attraverso i suppporti e le trasmissioni ha generato una ridondanza forse perniciosa. E’ come se in giro ci fosse “troppa” musica per le reali capacità del pubblico. Troppa per essere fruita, apprezzata, riascoltata. Una situazione radicalmente diversa da quella di un secolo fa, quando la musica dovevi andare a cercarla, oppure la suonavi da te. Oggi la ritrovi sempre più svalutata, in questa società dello spreco, a fare perfino da sottofondo alle più irrilevanti azioni quotidiane, oppure ingigantita da campagne mediatiche che prescindono dalla sua reale consistenza artistica. Diventa perciò importante l’esercizio personale di una sorta di “economia” musicale che sappia riguadagnare il silenzio come attesa e desiderio di suono.
Credo che la musica sia come un organismo vivente. Bisogna incontrarla per scoprirla e riscoprirla, senza nutrire aspettative precise. Ogni volta che una musica inizia, è come se si cominciasse a navigare nel suo corpo, nel suo mondo. Un viaggio di conoscenza che può provocare piacere, rifiuto, oppure indifferenza, ma che comunque va intrapreso e portato a termine con serietà e senza pregiudizi, disposti ad ammettere che il mancato apprezzamento può dipendere dalla nostra incapacità  di comprendere, dalla nostra pigrizia dell’abitudine, e da questa umiltà ripartire per un viaggio più approfondito, volando a bassa quota (dove, si sa, il viaggio non è comodo) per poter cogliere i particolari. Questo, per me, significa semplicemente amare la musica, riconoscerla come dono e non ridurla a oggetto.
Ti ringraziamo molto per il tuo prezioso contributo, e siamo certi di aver dato, attraverso le tue parole, una testimonianza dell’importanza e dell’interesse che suscitano questi argomenti in un mondo che si sta trasformando con sempre maggiore velocità.

3 commenti:

  1. Per un costruttivista convinto come me, è molto importante, quando si parla di matematica, divine proporzioni ecc., sentir ribadire il ruolo ancestrale, archetipico, fondativo della nostra cultura di determinati concetti. In fondo anche il dualismo credente – non credente perde di importanza se assumiamo il fatto che ogni singolo pensiero, esperienza e credo di ogni singolo essere si confronta costantemente e trae forza non già con e dalla realtà, ma con un gigantesco, quasi infinito, pensiero di essa, somma di tutti i pensieri di tutte le persone di tutti i tempi, che assume per ognuno di noi una tale forza da essere veramente scambiato per la realtà stessa. Ma quando riconosciamo tutto ciò, allora tutti i concetti sopra esposti, compreso lo stesso pensiero di Dio, ritornano ad essere i simboli, di un indicibile, inimmaginabile, incommensurabile, misteriosissima astrazione, dal confronto con la quale l’essere umano rimarrebbe annientato in un istante. Pure osa confrontarsi con essa attraverso il suo grossolano, misero, imperfetto, potentissimo logos.
    Mario Guido Scappucci

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  2. La storia dell'uomo è costellata di tentativi di dare significato all'esistenza costringendo lo spazio e il tempo dentro forme che possano durare o dare, in qualche modo, l'illusione di resistere all'incontrollabilità e allo scorrere inarrestabile.
    E' dalla preistoria, infatti, che tentiamo di fissare la vita in disegni. Poi abbiamo mummificato il corpo in un involucro "eterno" per l'immortalità, poi scolpito la figura umana per controllare la terza dimensione.
    Ma ci sentiamo sperduti nell'universo e cerchiamo di scoprire il suo ordine. Le certezze della matematica ci portano a considerare i numeri come strutture altamente significanti anche quando le loro interpretazioni sono magico-misteriche, simboli di un mondo nascosto fatto di ordine, perfezione, ben al di là della rappresentazione realistica della maggior parte dei nostri modelli e delle nostre immagini. La visione di San Giovanni della perfezione è rappresentata da "l'alfa e l'omega... ciò che è, è stato e sarà". La sovrapposizione di α e di ω genera il segno ∞, l'infinito matematico.
    La grande importanza che attribuiamo alle strutture è la sede del significato particolare delle opere d'arte. L'arte sembra celebrare la provvisorietà, poiché gli artisti non devono proporre soluzioni definitive, ma piuttosto avventurarsi, correre rischi per inventare mezzi espressivi adeguati alle mutevoli modalità percettive.
    E' grazie all'arte che riusciamo a intravedere un'esistenza alternativa, al di fuori della "schiavitù" del tempo. Le opere figurative imprigionano forme visibili e tangibili all'interno di limiti precisi, l'architettura dimostra come lo spazio possa essere modulato. Una poesia o un'opera di narrativa contengono la nostra esperienza del decorso, con il gioco delle unità di luogo e tempo.
    In ogni caso, la tecnica nell'arte è mossa dal desiderio di creare un particolare modo di cum-hærere che ci aiuti a trovare il senso della dimensione spazio-tempo.
    Ciò che l'artista elabora è una realtà irraggiungibile e, per questo, affascinante perché capace di risvegliare un senso di possibilità oltre la parola. E la mancanza, nella musica, di un potere descrittivo come quello delle parole o delle immagini non è debolezza, è forza.

    Billo72

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  3. Grazie a tutti per i commenti. Per me i numeri, lungi dall'essere mere quantità, sono astrazioni qualitative che rappresentano in maniera imperfetta la perfezione celeste. Sono proprio gli irrazionali a doverci far riflettere: perché pi greco deve essere per forza 3,1415926935...? Perché phi greco, la divina proporzione, deve corrispondere a 1,61803399...?
    E' proprio l'imperfezione umana a dover necessariamente descrivere il rapporto della circonferenza con il diametro del cerchio, e il medio proporzionale, con numeri così apparentemente lontani con la tonda perfezione di numeri 'armonici' come 24, o 36, o 144.
    Riprendendo le parole di Mario, penso che una nostra riflessione sulla sapienza accumulata dalle diverse culture del passato possa solo giovare alle nostre generazioni future. In questo, la musica ha un ruolo decisivo, c ome scrive Billo72, perché ciò che per i profani è debolezza costituisce invece la sua forza. La musica suggerisce, non descrive, e i numeri ci rimandano ad un'antica saggezza che, nonostante i tempi sembrino dire il contrario, non è perduta perché in tutte le ere, in tutte le nostre innumerevoli vite, abbiamo sempre ricevuto dei doni speciali che qualcuno degno di ciò ha custodito. Ed è bellissimo e significativo che Francesco, nella sua intervista, inviti tutti a fruire liberamente, e anche giocosamente, se possibile, di questi doni, che sono assolutamente alla portata di tutit. Non ricordo dove ho letto che siamo tutti come dei diamanti, però alcuni sono allo stato grezzo, altri sono opachi perché necessitano di un lavoro di pulizia più o meno approfondito, altri splendono affinché gli altri possano vederli e, sperabilmente, cercare di eguagliare quella luce che proviene dall'eternità.

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