L’unione tra Dio e la Natura, tra l’Uno e il Tutto, è stata intuita, prefigurata, sognata e descritta variamente nel corso dei secoli.
Cercare la causa di tutte le cose, ossia l’arché, come ebbero a fare i filosofi cosiddetti presocratici, indica una tendenza naturale dell’uomo a sostanziarsi delle leggi dell’universo, cercando di capirne i segreti.
La lingua divina è scritta in caratteri unitari e infiniti. Ai ricercatori l’arduo compito di trascriverla in notazione accettabile all’iniziale limitatezza umana. Nell’àpeiron, o infinito, di Anassimandro, si rispecchia il mondo, nato già come separato, eppure contenuto nell’infinito, con ciò prefigurando il neoplatonismo. Dalla separazione nascono i contrari, di cui già conosciamo la valenza nella disciplina della conciliazione dei paradossi, propria di uno spirito progredito sul piano della sua evoluzione. Ed è stato Eraclito a mostrare all’uomo tutti i paradossi ingenerati dagli opposti non ricondotti all’unità. Se ci ostiniamo a considerare il caldo come perennemente opposto al freddo, il bianco al nero e così via, non riusciremo mai a percepire e a capire la dinamicità della materia, che diventa dinamicità dello Spirito; al più alto livello di riferimento possibile all’uomo, non esiste contrapposizione tra spirito e materia, tra immanenza e trascendenza: la materia è una forma dello spirito, e lo spirito è un tipo di materia che non è nota all’uomo sensibile. Dunque anche in questo caso il paradosso può essere ricondotto all’unità. È in questo senso che, quando parleremo di musica, considereremo l’apparente contraddizione tra concorde e discorde, consonante e dissonante.
Pitagora e la sua scuola riconducono l’olismo alla sua origine divina, basandosi sulla rappresentazione umana più confinante con il divino esistente, ossia il numero. La perfezione divina è rappresentabile con la Tetraktis, lo schema quaternario che comprende l’Uno e il Molteplice, per mezzo del rapporto 1:2:3:4, che porta al 10. La coincidentia oppositorum si realizza nel paradigma armonicale, come riporta Filolao: l’armonia è così «l’unità del molteplice e la concordia del discordante[1]». Ed è la musica a parlare il linguaggio armonicale: i numeri, combinati tra loro, danno i rapporti, ossia gli intervalli.
Platone, tra i pensatori occidentali, ha certamente gettato le basi per l’olismo, o disciplina dell’Holon, con la sua ipostatizzazione del binomio anima-corpo. Quindi è stato lo stesso Aristotele ad aver formulato una definizione che sostanzialmente sarebbe rimasta stabile fino ai giorni nostri, quando parla di
… tutte le cose che hanno una pluralità di parti e il cui tutto non è paragonabile a un mucchio e la cui interezza è qualcosa che si distingue dalle parti[2]…
Tuttavia, per una prima chiara sistemazione dell’Holon dobbiamo attendere, in Occidente, l’opera di Plotino e del Neoplatonismo, dal iii sec. d.C. in poi. Le tradizioni orientali, invece, hanno lungamente insistito sui concetti dell’Uno e dei suoi rispecchiamenti nel Molteplice. Tutte le discipline mistico-teologiche indiane sono, in senso lato, olistiche, dagli antichissimi Veda, alle loro derivazioni induistiche, dal Taoismo cinese alla dottrina Zen.
In occidente, dopo il Neoplatonismo, attraverso lo Gnosticismo e varie forme di misticismo, il concetto di Holon si è lentamente fatto strada in un’epoca particolare, come quella medievale. La riscoperta rinascimentale delle tradizioni misteriosofiche, culminata nelle famose traduzioni di Marsilio Ficino delle opere di Plotino e dello stesso Platone, ha germinato nuova linfa per le riflessioni dell’uomo, ormai giunto ai confini della modernità.
Nonostante il xvii secolo sia stato caratterizzato da un certo ripiegamento verso la pura ragione, come è testimoniato dall’avviarsi delle pratiche scientifiche in quanto tali, abbiamo assistito comunque ad un’attività laterale dello spirito umano, sempre ispirato da quello divino, che ha prodotto, attraverso menti aperte come Giordano Bruno, Keplero, Spinoza, Newton, Cartesio, nuovi spunti per l’umana riflessione sul concetto di Uno nel Tutto. Anche in questo caso, le tendenze opposte, quelle del riduzionismo, non hanno tardato a farsi sentire, per opera della smania raziocinante, propria dell’era illuminista. Non che si voglia negare l’importanza della ragione nell’evoluzione umana verso un domani migliore, tutt’altro. Dobbiamo qui ricordare l’immortale mito del carro alato di Platone, nel quale l’auriga rappresenta per l’appunto la ragione, che deve mediare tra il cavallo bianco e quello nero, entrambi simbolo dell’irrazionale: il primo, delle passioni spirituali, il secondo di quelle corporee. È vero che la guida della biga (= l’Io, la persona) spetta alla ragione, l’auriga, ma è altrettanto vero che senza i cavalli (= l’irrazionalità) non si può andare da nessuna parte; segno, questo, della necessità, per la ragione, di confrontarsi con i lati più intimi e oscuri del Sé, per intraprendere la via verso il cielo (= la riunione con il Sé Superiore).
Dunque non si vuole negare l’importanza della ragione nell’attività umana, ma solo limitarne il campo d’azione senza che essa avanzi pretese di comprendere, sotto la sua ala, tutto il creato. Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce, scrisse il grande Blaise Pascal. Tutto dipende, come afferma Mircea Eliade, dalla gradazione entro cui si vuole osservare la realtà: la scala crea il fenomeno[3], quindi entrambe le posizioni possono rientrare nella realtà delle cose, a seconda della prospettiva da cui le guardiamo; ed è vero che, se l’Holon è l’Uno nel Tutto e viceversa, dentro di esso devono essere sanati tutti i paradossi, per come è scritto nel Kybalion:
Tutto è duale; tutto ha poli; ogni cosa ha la sua coppia d’opposti. Il simile e il dissimile sono uguali; gli opposti sono identici di natura, ma differenti di grado. Gli estremi si toccano; tutte le verità non sono che mezze verità, e tutti i paradossi possono essere conciliati[4].
Secondo la visione riduzionistica, invece, la realtà può essere spiegata per mezzo della riduzione di essa alle sue parti fondamentali. Eppure,
… il tentativo di creare una dicotomia è però pretestuoso perché atomismo ed olismo costituiscono due livelli di aggregazione della materia diversi l'uno dall'altro: nell'olismo abbiamo una materia che, a livello di particelle elementari (atomico), ha certe proprietà che non compaiono più a livello macroscopico come sono gli esseri viventi[5].
[1] Filolao, fr. 10, in Diels, trad. it. di G. Giannantoni, Bari, 1969.
[2] Aristotele, Metafisica, 1015a, 10, trad. it. di Antonio Russo, Roma-Bari, 1973.
[4] Cit., in (a cura di) Remo Fedi, Il Kybalion, studio sulla filosofia ermetica dell’antico Egitto e della Grecia, Catania, 1991, p. 25.
[5] Stelio Calabresi, Il Sator e la Gematria, http://www.edicolaweb.net/arca040b.htm
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