mercoledì 21 marzo 2012

Il silenzio in Debussy

Claude Debussy, in una lettera a Ernest Chausson in cui illustra il suo Pelleas et Melisande, scrive: «Mi sono servito di un mezzo che mi sembrava molto raro, cioè del silenzio, come agente d’espressione, e forse come unico modo per valorizzare le battute». Ciò è molto interessante: per Debussy il silenzio era un mezzo raro, nel senso che, come lo intende lui, non era stato molto utilizzato in precedenza.
Questo passaggio, preso dalla parte finale della I scena del II atto, mostra una scrittura levigata come una pietra di torrente: ogni suono risulta terso e netto, in una superficie sonora appena increspata da pennellate lievi. Qui possiamo dire che il silenzio, come afferma Debussy, valorizza realmente le battute, perché esse si succedono in un paesaggio sonoro ampio e arioso. L’ascolto - e la visione – di quest’opera conducono ad una percezione spaziotemporale diversa, in cui il silenzio interiore che si crea è frutto di una tendenza introspettiva della musica.

La prova di questo risiede non solo nelle pause, che pure sono notevolmente presenti in questa pagina, ma anche nell’accurata scelta delle note, negli spazi che le separano, e, in negativo, per tutto ciò che vi manca. Si osservi la laconicità della successione diatonica dell’ultimo sistema, in cui le terze superiori contrappuntano la melodia tetrafonica del basso. Eppure, non si corre certo il rischio di monotonia, perché ogni oggetto sonoro è perfettamente integrato nell’insieme. Le idee musicali sembrano in superficie simili, mentre in realtà si verificano impercettibili cambiamenti, che conferiscono movimento ad un passaggio che, come spesso accade in Debussy, sembra non avere direzione. La sua vera direzione non risiede in una dialettica finalistica e teleologica, bensì in una nuova fondazione del principio di contrasto, basato sul concetto di associazione e mancanza di associazione. Quando Debussy accosta due oggetti sonori tra loro, vi è tra essi un’associazione, a volte immediata, a volte occultata; e ciò che manca al secondo oggetto rispetto al primo funge da contrasto. Si tratta dunque di una dialettica in absentia, in cui sono i silenzi, espliciti o impliciti, a conferire il valore aggiunto al suono.
Il silenzio più intrigante sembra essere quello implicito, che si può trovare non solo tra una frase e l’altra, ma anche in punti inaspettati e inascoltati, perché la musica è dynamis, potenza e movimento, non è mai qualcosa di meccanico e fluisce liberamente sulla base di un ritmo sostanzialmente respiratorio, in cui l’inspirazione è l’anacrusi e l’espirazione la tesi.


(Estratto dal libro di prossima pubblicazione, La musica e/è l'arte della memoria, Atti del III-IV Convegno di analisi musicale)

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