Con l’illuminata e impeccabile organizzazione
di Sara Zurletti, in collaborazione con l’Università Roma Tre, Dipartimento di
Filosofia, con l’Università di Salerno e con l’Accademia d’Ungheria di Roma, si
è svolto il 6 e il 7 dicembre 2011 un importante Convegno Internazionale dal
titolo “Un virtuoso si aggira per l’Europa: Liszt 1811-2011. Musicologi,
filosofi e studiosi di fama mondiale si sono confrontati al declinare dell’anno
lisztiano per approfondire le tematiche relative al grande compositore magiaro.
Presentiamo alcune brevi note sui vari interventi, che, premettiamo, sono
unicamente il frutto degli appunti presi durante il Convegno, pertanto non
possono essere considerati né definitivi né completi. Non appena si procederà
all’auspicata pubblicazione degli atti, ne daremo opportunamente notizia sul
blog.
Johann
Herczog – Oltre le rapsodie: Liszt cosmopolita e ungherese.
Lo studioso ungherese ha parlato
dell’ambivalenza di Liszt, proiettato tra magiarismo e cosmopolitismo. Per
comprendere questi aspetti, occorre ricordare che l’Ungheria è polietnica, e
che già nell’800 poteva vantare forti tradizioni musicali che sono andate a
formare il caratteristico idioma “all’ungherese”, adoperato in vari contesti
anche da autori classici, a partire da Haydn, che probabilmente è stato il
primo a integrare nel tessuto musicale questo tipo di idioma. C’è poi il caso eclatante
del Finale dell’Eroica di Beethoven: verrebbe da chiedersi come abbiano fatto
gli ungheresi a capitare proprio lì. Ad ogni modo, certamente Liszt conosceva
bene questa cultura e ovviamente la assorbì nella sua musica. Ci sono comunque
diversi strati di assimilazione. Un primo strato è caratterizzato da brani come
le Rapsodie, in cui l’assimilazione è totale. Ci sono poi strati successivi in
cui lo stilema ungherese appare in maniera più diluita. C’è poi un aspetto
socio-culturale nel fatto che Liszt porta fuori la cultura ungherese, riuscendo
nel contempo ad essere cosmopolita.
Jean-Paul
Olive – Fantaisie et construction: de la Sonate en Si de Liszt à la Symphonie
de chambre n. 1 de Schönberg.
Olive ha tracciato un'interessante
linea che congiunge Liszt a Schönberg, che ammirava del compositore ungherese
la tecnica di trasformazione tematica. Sono proprio i procedimenti costruttivi
in Liszt che hanno potuto attrarre l’attenzione del compositore austriaco, il
cui stile a prima vista non sembrerebbe collegabile al primo. Lo studioso
francese ha poi mostrato nel dettaglio alcune acute corrispondenze tra la
Sonata in Si minore e la Kammersymphonie n. 1 op. 9.
Marta
Grabocz – Evolution du programme narratif (de la “ligne interieure”) de Liszt. Des Harmonies
poétiques et religieuses jusqu’à la 1ère Année
de Pelerinage.
Con il libro Musique, narrativité, signification,
(Ed. L’Harmattan, Paris), Marta Grabocz ha dato un contributo fondamentale alla
teoria della Musical narratology,
avviata da Eero Tarasti, in cui i termini della narratologia tradizionale
(Greimas) vengono mappati puntualmente in ambito musicale. La Grabocz ha
realizzato questo difficile compito con un intervento ponderoso, in cui diverse
opere di Liszt sono state “vivisezionate” secondo quest’ottica, con tabelle a
colori circostanziate e dense di significato. A titolo d’esempio, in una
tabella sono state esposte le strategie narrative secondo “the obsessive
successions of isotopies or expressive genres”. Le isotopie erano:
investigazione del macabro, eroico, pastorale/amoroso, combattimento macabro,
luttuoso, religioso, panteista/religioso glorificato e trionfante).
Quirino Principe – I simboli poetico-musicali nella Dante-Symphonie.
L’intervento del grande
studioso italiano è partito da una riflessione sulla ricchezza di musicisti
nati tra gli anni 1809 e 1813, da Mendelssohn a Wagner, passando attraverso
Chopin, Schumann e Liszt. Le corrispondenze non si fermano qui, perché questi
autori sono stati fra di loro in mutui e fecondi rapporti. E’ stato come se un
grande dono di energia si sia sparso per l’Europa, in un situazione
difficilmente replicabile. Forse solo al tempo dei grandi Fiamminghi, nel XV
secolo, si è avuta una situazione simile. L’opera di Liszt presa in esame, la
Dante-Symphonie, riflette quell’amor
intellectualis che è una cifra caratteristica degli spiriti illuminati. Nel
brano trova posto la grande poesia di Dante, che Principe definisce “poesia che
scotta”. Molte verità che consideriamo a
posteriori sono in realtà a priori.
A questo proposito, uno dei più bei saggi su Dante è del poeta russo Osip
Mandelstam, morto tragicamente in un gulag. Il titolo dell’opera ha offerto lo
spunto per una riflessione sulla Sinfonia come genere, che sembra essere una
delle proiezioni eterne di qualcosa oltre lo spaziotempo, dunque archetipico.
Liszt ha bisogno di immergere la musica nella letteratura, per assorbire la
propria ispirazione con essa, poi in certo qual modo dimenticarla per dar voce
alla purezza del suono.
Maurizio Cogliani – L’incanto velato. Figure della
dissolvenza nel pianismo lisztiano.
Lo studioso ha
analizzato alcuni esempi di ‘dissoluzione’ della texture in particolare nelle
ultime opere di Liszt, come Nuages gris
e La lugubre gondola II, definendo
certi procedimenti, con felice espressione, “una passaggiata sull’orlo dell’abisso”.
Giovanni Guanti – Liszt vs. Hanslick, o dell’arte di ideologizzare la musica.
In questa splendida relazione, Guanti
richiama le lezioni di Estetica di Hegel, nelle quali il filosofo sottolinea
che l’arte non è qualcosa che esiste per sé, ma per l’uomo. Quando Liszt allega
programmi letterari alla sua musica, egli si sta sforzando di andare verso la
traducibilità della musica. Posizione del tutto antitetica è quella di
Hanslick, che non ammette questo tipo di contaminazioni. Liszt, dal canto suo,
ha cercato di tradurre in musica la letteratura e l’arte. Hanslick,
inizialmente, nella lettera a Liszt del 1848, lo aveva ringraziato per le sue
trascrizioni beethoveniane. Quando poi il compositore ungherese ha iniziato a
comporre Poemi sinfonici, il critico musicale non lo seguì più, convinto
assertore dell’idea che il bello musicale non fosse traducibile in altro-da-sé.
Questa posizione contribuì negativamente all’ermeneutica negativa su Liszt,
persino nelle sue capacità di orchestratore. Allora, si chiede Guanti, come mai
Mahler aveva un’altissima considerazione di Liszt? In definitiva, da questa
relazione è emersa una figura gigantesca, quella di un artista le cui creazioni
hanno sotto molti aspetti anticipato i tempi.
Antonio
Notario Ruiz – “Auch
Liszt taucht wieder auf, der Franz…”: la compleja herencia del XIX.
Lo studioso spagnolo ha parlato del
rapporto tra il poeta Heinrich Heine e Franz Liszt. Il saggio di Adorno su
Heine ha messo in rilievo la forma di pungolo sociale dei suoi testi, e il
disagio che ancor oggi provoca la sua lettura. Ma è proprio la poesia il luogo
in cui si deve cercare la “ferita Heine”. Per il poeta la musica doveva
testimoniare una prospettiva sociale, e per questo polemizza volentieri, come
nella poesia Nell’ottobre 1849 (Germania),
in cui tratta senza pietà Liszt. Questo atteggiamento derivava da un acritica
pregressa al compositore, del quale Heine non apprezzava la religiosità avvolta
da spiritualismo propagandistico. In questo senso, emergono secondo Heine le
differenti personalità di Chopin e Liszt. La dialettica che il poeta propone stabilisce
i limiti tra il romanticismo e l’ipertrofia sentimentale o, se si preferisce,
tra arte e produzione di beni.
Andrea
F. Calabrese – L’Opera
al nero: sul tema dell’Ombra in Liszt.Questo
intervento si è basato basa sulle dinamiche psicologiche implicite nella musica
di Liszt, così come emergono attraverso la presenza di contenuti dualistici,
con opposizioni solitamente etichettate con termini quali luce/tenebre,
bene/male, positivo/negativo. In particolare, è stato preso in esame ciò che
Carl Jung definisce l’archetipo dell’Ombra. La radice di questo dualismo va oltre
la consueta ipotiposi dei concetti di bene vs. male, che pure per Liszt è una costante,
nella fusione così tipicamente romantica di vita e arte riscontrabile nella sua
esperienza. Tale dualismo interessa processi inconsci, utili anche per
l’analisi musicale. Il dualismo esiste realmente in Liszt, ma qualunque
spiegazione se ne dia, esso è la polarizzazione di due princìpi diversi, non
necessariamente opposti ma talvolta fortemente contrastanti. Per questo motivo,
questa indagine si è avvalsa degli strumenti forniti dalla psicologia del profondo
come ausilio per la comprensione di alcuni testi lisztiani.
Luca Aversano – Tecniche violinistiche nel
pianismo di Liszt.
Lo studioso ha preso in esame alcune opere di Liszt, per sottolinearne i debiti non solo con la tradizione pianistica ma anche con quella di matrice violinistica. Tra gli esempi analizzati, oltre l’immediato collegamento con Paganini, molto rilevante è apparsa la contiguità con alcune tecniche già presenti nella musica violinistica del Settecento.
Lo studioso ha preso in esame alcune opere di Liszt, per sottolinearne i debiti non solo con la tradizione pianistica ma anche con quella di matrice violinistica. Tra gli esempi analizzati, oltre l’immediato collegamento con Paganini, molto rilevante è apparsa la contiguità con alcune tecniche già presenti nella musica violinistica del Settecento.
Roberto Giuliani – Luigi Verdi
– Liszt nell’immaginario
televisivo e cinematografico.
Relazione piena di contenuti quella proposta dai due studiosi, che hanno enucleato tutti i rapporti che esistono tra il grande compositore oggetto del Convegno e lo schermo sia televisivo che cinematografico. Tra l’enorme quantità di dati proposti, sottolineiamo due soli aspetti: la difficoltà di realizzare film su musicisti che siano credibili dal punto di vista filologico, e dall’altra la cospicua presenza di Liszt come colonna sonora. I film in cui compaiono musiche di Liszt sono, infatti, circa 200.
Relazione piena di contenuti quella proposta dai due studiosi, che hanno enucleato tutti i rapporti che esistono tra il grande compositore oggetto del Convegno e lo schermo sia televisivo che cinematografico. Tra l’enorme quantità di dati proposti, sottolineiamo due soli aspetti: la difficoltà di realizzare film su musicisti che siano credibili dal punto di vista filologico, e dall’altra la cospicua presenza di Liszt come colonna sonora. I film in cui compaiono musiche di Liszt sono, infatti, circa 200.
Madalena
Soveral – De
l’interprète au compositeur: les années de Weimar.
La pianista e musicologa portoghese
ha illustrato con dovizia di particolari gli sviluppi della scrittura di Liszt,
a partire dai primi anni fino al periodo di Weimar. Sono state analizzate le
differenze tra gli Etude en 12 exercises
e gli Etudes de execution trascendante. Inoltre,
assai pieno di significati è parso il legame che la Soveral ha tracciato tra l’opus lisztiano e Maurice Ravel.
Elio
Matassi – Liszt
e il mito di Faust.
In questa relazione, il filosofo ha
acutamente posto in rilievo le tradizioni faustiane in letteratura e in musica
sotto l’aspetto estetico e nei loro mutui rapporti. Assai interessante la prospettiva
scelta da Matassi, che, pur parlando da filosofo, ha sottolineato con forza che
la stessa filosofia, oltre che la cultura in generale, non può prescindere
dalla musica nella ermeneutica faustiana.
Sara
Zurletti – Massa
e potere: Liszt l’incantatore.
Il Convegno si è concluso con questa
sapiente relazione, che ha illustrato il passaggio dal Biedermeier al
virtuosismo paganiniano. Il paradigma borghese veniva posto in discussione
dalla presenza sempre più forte di questi virtuosi. Si crea così un’aura, che
sottintende la distanza incolmabile tra il virtuoso e il pubblico, destinato a
ipostatizzare la figura dell’Eroe. L’artista diventa così uno stregone in grado
di ammaliare le folle, e l’arte diventa una prosecuzione con altri mezzi della
magia. Baudelaire ha dedicato a Liszt il Tirso,
che è il bastone del sacerdote con i fiori incastonati. Da un lato, quindi, la
volontà e la forza simboleggiati dal bastone, dall’altro la gentilezza e la
raffinatezza dell’elemento floreale. La Zurletti ha quindi introdotto il
concetto di eterofonia, citando studi di Rattalino e di Bortolotto, nei quali
si evince il significato di questo termine come ricorso a materiali già
lavorati. Citando anche Rosen, la studiosa ha spiegato come in Liszt avvenga la
trasformazione del suono in gesto. L’arte di Liszt, pertanto, si presenta come
essenzialmente ludica.
Piero
Rattalino – L’invenzione
del recital, ossia: génie oblige.
Lo studioso ha percorso con
spirito critico la biografia lisztiana, individuando le influenze culturali ad
ampio raggio che ne hanno contraddistinto la formazione. Dal punto di vista più
strettamente musicale, Rattalino ha citato Berlioz e Paganini tra i compositori
che maggiormente hanno stimolato Liszt. La relazione ha poi affrontato un tema
particolarmente fecondo, ossia il rapporto dell’autore con il tema della
formazione del concertista negli anni ’30. Particolarmente illuminante è
risultata la citazione fatta del necrologio di Liszt a Paganini, da cui trae il
titolo l’intervento di Rattalino: “Che l'artista dell'avvenire rinunci dunque,
e di tutto cuore, a quel ruolo egoista e vano di cui Paganini fu, noi crediamo,
l'ultimo e illustre esempio; che ponga il suo fine non in lui ma fuori di lui,
che il virtuosismo sia per lui un mezzo,
non un fine, ch'egli ricordi sempre
che, come la nobilità e senza dubbio più che la nobilità: GÉNIE OBLIGE”.
Ophra Yerushalmi – proiezione del
film Liszt’s Dance with the Devil
La cineasta e pianista ungherese
ha presentato in anteprima il suo ultimo film, un’accurata e appassionata
biografia su Liszt. Senza mai cadere nella facile tentazione dell’agiografia,
la Yerushalmi, attraverso una saggia alternanza di interviste, immagini e
suggestioni, ha fatto emergere a tutto tondo un quadro del compositore quanto
mai autentico. Particolarmente interessante è risultato il ricorso a una
molteplicità di interpreti, ognuno dei quali – registra compresa, già allieva
di Claudio Arrau – ha potuto raggiungere la sensibilità di ogni audio-video
ascoltatore.
L’Eroe
e l’Ombra – Concerto del pianista Santi Calabrò
Il pianista siciliano Santi Calabrò
ha offerto un saggio lisztiano di pregevolissimo valore e di levigata
raffinatezza, in un concerto comprendente brani ampiamente trattati durante il
Convegno, come Vallée d’Obermann,
Mephisto Waltzer I e la Sonata in si minore. Il concerto è stato
accompagnato da acute riflessioni, scritte dallo stesso pianista in una Nota al
programma, cui rimandiamo. Da parte dell’ascoltatore, vorremmo semplicemente
sottolineare un paio di aspetti: la grandissima capacità dimostrata da Santi
Calabrò di detenere il controllo pressoché totale della tastiera, impresa
assolutamente non da poco in Liszt, e in secondo luogo le raffinatezze e quasi
arditezze timbriche che sono state raggiunte dal pianista, fino ad arrivare
alla trasfigurazione del finale della Sonata, che ha ingenerato in chi scrive
sentimenti difficilmente esprimibili a parole.
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