Esiste un aggettivo molto usato nella
critica letteraria per connotare opere ponderose, piene di pagine e di storie e
di parole: “torrenziale”: nel caso di La vita in tempo di pace di
Francesco Pecoraro, mai termine potrebbe essere più adeguato, perché l’acqua è
il dominus, al tempo stesso benigno e maligno, che accompagna il lettore
dalla prima all’ultima pagina. Acqua che ristora e rigenera come un liquido amniotico,
nelle estati senza tempo in cui si immerge il protagonista, Ivo Brandani; acqua
che, all’opposto, tracima e inonda, sovrapponendosi e sostituendosi al divino,
sentito sempre come assente o inesistente.
Il romanzo adotta una tecnica
narrativa originale e funzionale: durante un viaggio di ritorno dall’Egitto, il
sessantanovenne ingegner Brandani rivive la sua esistenza a ritroso. Dalle
ultime esperienze, narrate nei primi capitoli, si retrocede alla giovinezza
fino alla prima infanzia, nell’immediato e complesso secondo Dopoguerra. Il
protagonista si spinge fino all’estremo limite possibile della memoria, e l’ultimo
suo ricordo è quello del passo sul pavimento, compiuto verso i tre anni, che
sanciva la sua guarigione da una malattia piuttosto seria. Ogni regresso verso
il passato è accompagnato da riflessioni che riportano la macchina del tempo al
momento iniziale.
Al lettore il compito di ricostruire
i pezzi di mosaico sparsi apparentemente in disordine, in realtà con uno schema
narrativo ingegnoso. Ivo Brandani è perseguitato da un Edipo devastante nei
confronti del padre (chiamato, archetipicamente, “Padre”, senza articolo
determinativo), che impersona, in apparenza, l’anti-Ivo: sicuro, autoritario,
nutrito di poche ma inflessibili idee, alle prese con l’ingombrante eredità del
fascismo. Invece Ivo cresce insicuro, portando all’esterno il suo conflitto con
Padre, imbevuto di divieti che man mano che cresce infrange tutti, uno per uno,
non senza sofferenze e inquietudini. Ma la differenza con Padre, al quale Ivo sente
e si sforza di non assomigliare, ma al tempo stesso teme come nel peggiore degli
incubi di assomigliare, è fondamentalmente una: lui non ha fatto la guerra, è
vissuto interamente in tempo di pace, mentre Padre ha fatto la guerra, sperimentando
uno stato cui l’uomo post-bellico non ha avuto accesso. Cosa significhi vivere
in tempo di pace lo capiamo nei dolorosi accessi ai flussi di coscienza di Ivo,
nella piattezza degli ideali, nel rifiuto della profondità in nome di un non
ben precisato progresso.
Non siamo d’accordo con quanti
vedono in lui una persona debole, sostanzialmente un fallito, né sul fatto che
le cinquecento pagine di romanzo non abbiano una trama vera e propria. C’è un
altro snodo importante, a nostro avviso, ed è quando Ivo ragazzino, considerato
spesso un vinto dai coetanei in base a precise regole gerarchiche di gruppo,
reagisce ad un prepotente, sorprendendolo e atterrandolo. La collocazione dell’episodio
quasi a fine romanzo indica l’importanza di un ricordo che, pur non avendogli
schiuso le porte della sicurezza in sé, gli ha insegnato che nulla è
predeterminato e, entro certi inevitabili limiti, un barlume di libero arbitrio
sopravvive.
Oltre al conflitto con Padre, nella
sua vita si pone un brusco cambio di indirizzo, quando lascia la facoltà di filosofia
per diventare ingegnere edile. La motivazione che dà a sé stesso in quel momento
appare sorprendente: progettare un ponte è una forma di filosofia viva, realizzata.
L’archetipo del ponte attraversa tutto il romanzo: ponte fra acqua e terra, tentativo
dell’homo faber di assoggettare il dominus-Acqua, che poi si vendica inondando.
E però Brandani, in una gita al Firth of Forth scozzese, si innamora della
bellezza del ponte e decide di diventare ingegnere, salvo poi, alla fine,
interrogarsi sull’insensatezza di questa scelta. Per questo, e per il conflitto
irrisolto con Padre, dovremmo considerarlo fallito? Non più di tanti altri
personaggi di romanzo da Des Esseintes di Huysmans a Gonzalo Pirobutirro di Gadda.
Una traiettoria esistenziale non si può giudicare per le vere o presunte
sconfitte nel mondo-di-fuori, ma per lo sviluppo interiore cui perviene il
soggetto. Nonostante, tecnicamente, il romanzo sembri percorso da una fissità
insensibile esemplificata dal concetto di Motore Immobile, nel caso di Ivo
Brandani, il retrocedere all’infanzia rivela l’impossibile desiderio di rifugio
nel ventre materno, dove trovare, ancora una volta, l’Acqua Primordiale, arricchito
(o impoverito) dall’incontro-scontro con la realtà inesorabile.
AFC
Francesco Pecoraro, La vita in tempo di pace, Ponte alle Grazie, Milano, 2013