Idomeneo a Palermo
Santi Calabrò
Nel
percorso di alcuni artisti, determinate opere assurgono a pietre miliari in
quanto «punto di incontro ideale e unico della foga giovanile e della potenza
della maturità» (Harry Halbreich), ma
la loro identificazione non è sempre inequivocabile: su Beethoven (Sinfonia “Eroica”) o Stravinski (Sacre du printemps) si può raggiungere
un accordo pressoché unanime, mentre con
Mozart l’immenso Idomeneo può
essere insidiato da un gioiello perfetto come il Concerto K. 271. Opera di ispirazione travolgente, Idomeneo paga più di un debito al
tentativo di opporsi, nel Settecento inoltrato che vede l’innesto di elementi
del teatro musicale francese, alla decadenza dell’opera seria di tradizione
italiana. Mozart stesso in seguito sancirà indirettamente ma nel modo più esemplare
lo stadio successivo alla decadenza con i suoi ineguagliabili drammi giocosi,
dove persino i contenuti tragici si sviluppano sulle stoffe e sulle tecniche
dell’opera comica. Distinguere tuttavia nell’ldomeneo le pagine più riuscite da quelle che si limitano alla
buona fattura - a causa di insufficienze contingenti del libretto o di più
generali conflitti fra stili, codici e situazioni - è compito della musicologia
e materia per giudizi di gusto; in sede di esecuzione la regia può esaltare o
deprimere taluni punti apicali a seconda che punti alla coesione drammaturgica
oppure a una successione di quadri. In questo senso appaiono rivelatori almeno
due momenti dell’opera di Mozart per
come è stata proposta dal Teatro Massimo di Palermo, con regia, scene e costumi
di Pier Luigi Pizzi (ripresa di un allestimento del Teatro delle Muse di
Ancona). Dopo l’Ouverture Mozart presenta con i crismi di un vero conflitto
tragico una delle tre cantanti protagoniste dell’opera, la principessa troiana
Ilia (figlia di Priamo e prigioniera del re di Creta Idomeneo): il personaggio
è dilaniato tra la passione per Idamante, figlio di Idomeneo, e l’odio di
famiglia per il nemico. L’Aria di Idamante (qui il mezzosoprano Aya Wakizono),
che entra in scena subito dopo, propone invece per il momento “solo” un giovane
innamorato. E cosa fa Carmela Remigio (Ilia) mentre Idamante le si dichiara?
Con ogni evidenza cede e corrisponde, da subito! Peccato che l’opera preveda
uno svolgimento per cui soltanto più avanti, nel terzo e conclusivo atto, la
stessa Ilia confesserà a Idamante quanto ricambi il suo affetto con fervore. A
quel punto l’amore di Ilia, insieme alla certezza dell’amore paterno,
contribuisce a rendere Idamante così intrepido da uccidere un mostro marino e
da offrire la sua testa al padre straziato, che dovrebbe sacrificarlo perché
così vuole il dio Nettuno; Ilia non ci sta e offre la sua, di testa, proprio
per salvare Idamante. La storia ha un lieto fine: il deus ex machina li salva entrambi e condanna alla disperazione la
terza primadonna – Elettra, innamorata anche lei di Idamante –, comandando che
Idomeneo vada in esilio e che proprio suo figlio, con a fianco Ilia, diventi il
nuovo re di Creta. Alle conseguenze non da poco degli ordini impartiti dalla
Voce fuori scena (qui canta Renzo Ran: bene, peraltro, ma senza il necessario
timbro terrifico) dovrebbe corrispondere, per Mozart, un effetto teatrale
adeguato: tanto che il compositore nelle sue lettere si diffonde in confronti
con lo spettro di Amleto! Nella
realizzazione di Pizzi, invece, l’irruzione del soprannaturale, marcata solo da
un blando effetto di luce, passa quasi inosservata, tanto che ci si domanda
quale dei personaggi in scena stia facendo il ventriloquo… Entrambi i momenti
segnalati, di portata tale da determinare incongruenze che si irradiano
pervasivamente contro linearità drammaturgica e realismo, attestano come questa
regia tenda a bordeggiare ai margini del “dramma” – in entrambi i suoi
significati – e privilegi un’estetica da grande affresco neoclassico,
nell’eleganza stilizzata di una scenografia dove dominano il bianco, il nero e
le gradazioni del grigio. Mentre la messa in scena è tendenzialmente statica,
assecondando più la matrice metastasiana del pezzo chiuso che quella gluckiana
del recitativo accompagnato (senza sottolineare peraltro neanche la fastosità
coreutica di ascendenza francese, anzi contenendola), l’opera fa valere
comunque il suo respiro di insieme: i collegamenti fra i numeri chiusi e il
tendere addirittura al “durchkomponiert” sono infatti
non solo strettamente connessi al dispiegarsi dell’intreccio, ma realizzati da
Mozart con piena, ineludibile e spesso geniale coerenza “autonoma” della
musica.
A petto di una densità dell’orchestra che non ha pari nelle altre opere mozartiane, Daniel Cohen dirige con slancio, non si tira indietro di fronte a tratti che non è eccessivo definire preromantici e concerta con buon equilibrio di insieme - salvo che il peso dei fiati a volte non è ben integrato, soprattutto nel primo atto -. La scorrevolezza dei tempi convince, anche se qualche snodo dei recitativi, inclusi alcuni recitativi secchi, meriterebbe maggiore indugio. René Barbera rende con voce ben proiettata le sfaccettature del protagonista, restituendo un Idomeneo vibrante e sofferto cui manca solo un colore più profondo (e quindi più regale); Eleonora Buratto (Elettra) canta con una vocalità, un timbro e una paletta espressiva che si esaltano quando il personaggio raggiunge le vette della sua momentanea buona sorte, ma risultano efficaci anche nella furiosa aria della parte finale. Aya Wakizono dà vita ai tormenti e all’eroismo di Idamante con voce precisa, mentre alla buona prova di Carmela Remigio come Ilia non arride in questo momento il valore aggiunto della rotondità di timbro ammirata in altre sue prestazioni. Di buon livello Giovanni Sala (Arbace) e Carlos Natale (Gran Sacerdote). Il Coro di Idomeneo ha la statura di un personaggio e talora anche di due, dove si distinguono i cretesi e i troiani: la regia oratoriale e sobria li individua ben poco, ma pregevole è la realizzazione musicale del Coro del Massimo. Applausi per tutti.
A petto di una densità dell’orchestra che non ha pari nelle altre opere mozartiane, Daniel Cohen dirige con slancio, non si tira indietro di fronte a tratti che non è eccessivo definire preromantici e concerta con buon equilibrio di insieme - salvo che il peso dei fiati a volte non è ben integrato, soprattutto nel primo atto -. La scorrevolezza dei tempi convince, anche se qualche snodo dei recitativi, inclusi alcuni recitativi secchi, meriterebbe maggiore indugio. René Barbera rende con voce ben proiettata le sfaccettature del protagonista, restituendo un Idomeneo vibrante e sofferto cui manca solo un colore più profondo (e quindi più regale); Eleonora Buratto (Elettra) canta con una vocalità, un timbro e una paletta espressiva che si esaltano quando il personaggio raggiunge le vette della sua momentanea buona sorte, ma risultano efficaci anche nella furiosa aria della parte finale. Aya Wakizono dà vita ai tormenti e all’eroismo di Idamante con voce precisa, mentre alla buona prova di Carmela Remigio come Ilia non arride in questo momento il valore aggiunto della rotondità di timbro ammirata in altre sue prestazioni. Di buon livello Giovanni Sala (Arbace) e Carlos Natale (Gran Sacerdote). Il Coro di Idomeneo ha la statura di un personaggio e talora anche di due, dove si distinguono i cretesi e i troiani: la regia oratoriale e sobria li individua ben poco, ma pregevole è la realizzazione musicale del Coro del Massimo. Applausi per tutti.